Ricevo e pubblico volentieri questa nota di Narda Fattori, che ringrazio, sull'ultimo libro di Lucetta Frisa. Il testo è già apparso su La poesia e lo spirito lo scorso 1 Ottobre.
Lucetta Frisa, L’emozione dell’aria, CFR
La musica è vibrazione d’aria, aria che si piega, corre su precipizi, sprofonda, risale, volteggia lieve come una farfalla, sfugge alla presa, capitombola,
si muove elegantemente come i cavalli al dressage,…, molto concisamente, forse superficialmente, la musica è aria che emoziona e ci trasporta
dentro, fuori, adagio, solenne, allegra, andante…
Lucetta Frisa si fa penetrare da questa emozione e, mutando il ritmo, il timbro e la melodia, varia il suo dettato, il contenuto dello stesso che può
elevarsi, ma mica poi tanto, perché la musica, arte sottile e matematica, trascende la quotidianità ma mai l’individuo perché di esso è prodotto, arte e
non merce, e quindi è una grazia e una bellezza o un dramma e un abisso che gli restituisce la possibilità creativa, quel prezzo terribile che paga da
quando volle mangiare all’albero della conoscenza. Il titolo stesso è una azzeccata sineddoche: è la persona che si emoziona alla vibrazione dell’aria
nella musica.
Lucetta Frisa ha già trasposto elegantemente le emozioni suggerite da dipinti famosi e anche da essi, in una felice contaminazione artistica, si è fatta
penetrare, è entrata in dialogo.
Con la musica non si può dialogare, puoi solo assumere la disposizione più consona all’ascolto: tecnico se sei musicista, intimo, intrapsichico se sei
poeta.
Ecco come ce lo dice: “voci/ voli/ fiato/ di chi ama o muore/ l’emozione dell’aria trova il suo alfabeto.” È un alfabeto che si può ascoltare, con
il quale, però, non si può interloquire. L’eloquio è fra sé e sé, fra sé e gli altri. La Frisa può dirlo con questa intensità:
“Se i suoni sono specchi
di un detrito astrale
chi evocano
invocano
quale visione
o profezia?
E a noi tocca solo il dolore
o sordità?
se il canto di sirena incantò il tempo in pietra
le nostre voci
affondano
nei vuoti abbandonati
degli astri
……”
Porgiamo un attimo di attenzione alla spaziatura dei versi che, mi pare, cerchino di imitare la disposizione delle note sul pentagramma; la loro apparente
irregolarità è in realtà il loro pregio, la musica che suonano, il ritmo che vibra nella loro scrittura, il fiato , il respiro.
Ma torniamo ai versi: che sa l’uomo di questo suo miracolo, pur essendone l’artefice? Può essere che la profezia che vibra sia diventata incomprensibile e
qui si stia nel dolore e nella sordità?
Se il canto delle sirene trasformava gli uomini in pietre, ora sordi, si cattura il vuoto fra gli astri e, ben sappiamo che il vuoto è molto maggiore del
pieno.
Ecco che la musica apre le porte della riflessione intrapsichica, emozionale, anche filosofica.
“ la musica lascia una scia
d’aria
ed ombra
dov’è il centro?
è solare vento
che a caso muove il nulla
le sue figure?
nella polvere fu concepito il fremito tellurico
ma nell’atmosfera tutto sembra immobile e muto”
Lucetta procede nel suo ascolto che proietta fuori di sé scienza e coscienza, soprattutto molti interrogativi senza risposta, che non hanno risposta.
Tutta la prima sezione, intitolata Basso ostinato si fa carico delle domande “impossibili” e giunge, inevitabilmente, alla fine del
personale (umano) percorso dell’uomo che passerà oltre la Turbolenza e, contrariamente al razionale e percepito, il ponte è un taglio che ci unisce al buio e resteremo con una fame inesausta di musica che dovrebbe sprofondare con le sue partiture sotto la
nostra stessa crosta e ci porteremo via minutaglie, le cose di tutti i giorni, tutti i giochi, gli inganni.
La musica, così amata e cosi violentemente amante, ci abbandonerà alla sordità, la terra ne sarà abbandonata.
Questa prima sezione del libro, che ha la struttura di una fuga di Bach (però da inesperta, non vorrei azzardare nessuna analogia) è anche la più aspra e
solenne e il titolo è ben accordato: basso, come il ridere del grillo, forte come la lingua del tuono ( versi di Emily Dickinson), ostinato,
niente fughe ma scavi, ascolti, echi, rimandi, rifrazioni e qualche riflessione.
Poesia coltissima, attenta, controllata ma anche dolente, amara, senza alcuna forma di consolazione. La sezione che segue, Les amusements,
ci accompagna verso musica diversa, se non proprio divertente come promette, capace di penetrare e assolvere le minuzie, le sofferenze, gli antri oscuri
del transito umano. Ogni poesia porta il titolo del brano e il nome dell’autore (Schubert, Chopin, Ravel, Brahms, Rimsky-Korsakov, Bartòk, Astor
Piazzolla,…); musica diversa per tempi diversi ma la non contemporaneità dei musicisti offre la possibilità di raccontarsi, perché questo osa talvolta
Frisa, in modi e con timbri spurgati dall’emotività:
“[…] ora tu suoni
per me per noi
per questa casa saturnina che a ogni nota
si frantuma un po’ di più
[…]
impari e dimentichi
impari e dimentichi
e non smetti mai di suonare.
La terza parte, più breve, intitolata Peace Piece, si sposta con indifferenza fra la musica da camera a quella blues e jazz, ma non sono
indifferenti i temi: in queste poesie Lucetta Frisa esce da sé per guardare gli altri, gli altri come persone e non come mondo, cioè convitati ad una mensa
amara.
E per i bambini, per il loro rispetto, per il loro affetto, per evitare loro le escissioni dei sogni e i morsi della vita, dice” abracadabra/ se potessi”
Ma non c’è magia che tenga, se non questi bellissimi versi che possono solo restituirci un po’ d’umanità.
La dolenzia non è disamore , è troppo amore per la bellezza che si vorrebbe pura come nell’arte e diffusa invece le brutture scorazzano nelle contrade del
mondo e se ne sono impadronite.
Narda Fattori