Domenica, 3 ottobre 2010
Con il libro di Marco Scalabrino (La casa viola, Edizioni del Calatino, 2010) ci si avvicina a una essenzialità poetica che è quella del detto popolare, abilmente ibridato con uno sguardo abbastanza smagato da apparire metafisico, e con una sensibilità parente di quella simbolista. O forse, semplicemente, è che Scalabrino appartiene in fondo a una cultura in cui l'espressione verbale è insieme rarefatta e polisemica, poche parole ma buone, di un certo speso specifico, come dice qualcuno. Ma a parte questo, qui l'uso del dialetto non è affatto programmatico o "politico" (del tipo identità e orgoglio) e nemmeno resistenziale, ma è semmai pittorico, icastico, e quindi est-etico. Sopratutto culturale, poichè Scalabrino è, da quello che si evince, uomo colto, e anche ironico, ed è con questo bagaglio che manipola il suo dettato, con grande raffinatezza. Dice Flora Restivo nella sua torrenziale prefazione: "Una (..) osservazione non può prescindere dall'impatto col linguaggio, che nulla regala e mai ha regalato al minuetto, privilegiando un ritmo secco, intenso, talvolta pausato fino alla stanchezza, tal'altra quasi tambureggiante, ma sempre mirato a penetrare nel cuore di ogni tema trattato. Le immagini, procedendo per rapide scansioni, acquistano dirompenza, tendendosi verso gli estremi confini del vivere, con una tecnica raffinatissima, che si avvale di tutti gli stilemi che la profonda conoscenza della materia gli mette a disposizione, oltre ad una metrica scarna e un dettato asciutto, spigoloso, graffiante, non di rado rischiarato da rapide e travolgenti illuminazioni liriche di vibrante fascino. La "grazia del primo verso", che davvero giunge quando vuole, poco o nulla sarebbe senza una indispensabile e meticolosa techne". Come non essere d'accordo? Aggiungerei la "musica", che in questa poesia ce n'è tanta, non per ricorso a forme metriche in particolare, ma per la natura stessa di questo linguaggio, eminentemente fonico (e fàtico), fatto spesso di parole-scrigno, di vocaboli bi-trisillabici (in cui parole alloctone risaltano maggiormente estranee, come ad esempio "televisioni" - che guarda caso "dicinu cosi / chi nun capisciu"). Insomma, il dialetto non è enclave ma spiraglio di senso e suono. E' da questo punto di vista che la scelta di riproporre i testi affiancati da una traduzione in diverse lingue può apparire talvolta disomogenea, non sempre convincente, almeno là dove la traduzione risulta come un evidente impoverimento del testo originale, del suo suono, forse del suo senso, come certo avviene in lingue "distanti", come l'inglese. Probabilmente meglio, a mio avviso, limitarsi, anche come operazione culturale, a una prossimità linguistica (come quella che molti poeti di queste sponde marine trovano nell'area latina mediterranea (còrso, catalano, siciliano, in parte sardo ecc.) Buono per esempio il ricorso a un poeta come Ghjacumu Thiers, ottimo autore). Ma questa osservazione del tutto personale, che certamente Scalabrino come traduttore e saggista avrà considerato, non toglie granché a un libro arioso e pensoso, interessante e fine, di piacevolissima lettura.
Pubblico di seguito qualche testo, con la sola traduzione in italiano.
La casa viola
Staiu na casa cu li naschi viola.
Stulani a conza di collamitina.
E lampi e trona pi viviruni.
La casa viola
Abito una casa con le narici viola.
Inquilini a prova di colla d'amido.
E lampi e tuoni in terrazza.
Trad. Maria Pia Virgilio
***
Turnasti
La to vuci
nova
a la ntrasatta:
vertula di sita
pani e latti
jorna e jorna.
A la televisioni dicinu cosi chi nun capisciu.
Sei tornata
La tua voce nuova insperata: bisaccia di seta pane e latte giorni e giorni. Alla televisione dicono cose che non capisco.
Trad. Maria Pia Virgilio
***
C ' è . . .
C'è tanfu di morti e scrusciu di guerra.
C'è in giru arre pi st'Europa lasca crozzi abbirmati cu li manu a l'aria.
C'è surci di cunnuttu assimpicati chi abbentanu, ogni notti di cristallu, li picca l'esuli l'emarginati.
C'è forbici ammulati di straforu chi tagghianu di nettu niuru e biancu lu sud lu nord lu pregiu lu difettu.
C'è vucchi allattariati di murvusi chi masticanu vavi di sintenzi cu ciati amari chiù di trizzi d'agghia.
C'è svastichi c'è fasci c'è banneri chi approntanu li fumi a camiatura cu faiddi di libra e di pinzeri.
C'è culi ariani beddi e prufumati chi strunzianu fora di li cessi.
C'è di quartiarisi; c'è di ncugnari.
C'è catervi di cazzi di scardari - droga travagghiu paci libirtà giustizia malatia puvirtà ...
e c'è na razza sula: chidda umana.
C ' è . . .
C'è lezzo di morte e brontolio di guerra.
C'è ancora in quest'Europa lacerata scheletriche braccia le falangi contorte alzate al cielo, le orbite ridotte vermicaio.
C'è topi di fogna assatanati che azzannano in notti di cristallo rosso-sangue i deboli, i reietti, i senza-voce.
C'è subdole forbici affilate che separano senza pietà il bianco e il nero, il sud e il nord chi ha diritto di vivere e chi può morire.
C'è bocche ributtanti che vomitano sentenze dal fiato greve più di spicchi d'aglio.
C'è svastiche c'è fasci c'è bandiere: divampano i forni assassini e ottuse lingue di fuoco divorano sapere e civiltà.
C'è culi ariani lisci e profumati che stanno facendo del mondo una latrina.
C'è da stare alla larga; c'è da tenerci stretti e far barricate.
C'è cataste di rogne da grattare - droga, lavoro, pace, libertà giustizia, malattia, povertà...
e c'è una razza sola: quella umana.
Trad. Flora Restivo
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Frivaru
Suli-pigghialu di Frivaru.
Nta na seggia di juncu a stenniri l'arma mia agghimmata.
Febbraio
Sole incerto dì Febbraio.
Su una sedia di giunco è stesa l'anima mia ingobbita.
Trad. Maria Pia Virgilio
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Supra e sutta.
È chi ssi quattru scaluni su' di sivu e l'arili saziti di palori troppu grossi e fumu russu e vinu.
Sopra e sotto.
Ma quei quattro gradini sono sdrucciolevoli e il clima esacerbato da parole roventi e fumo rosso e vino.
Trad. Maria Pia Virgilio
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11 Giugnu
(a me patri)
Ntuppa l'ura schifiata
pi li cristiani
e ... 'ncasa mia
Pi li muschi ... tti!
Ci dici a Iu varveri chi nun veni chiù.
11 Giugno
Sopraggiunge l'ora infame
per gli uomini
e ... in casa mia
per le zanza ... re!
Puoi dire al barbiere di non venire più.
Trad. Maria Pia Virgilio
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Battaria
(a Flora Restivo)
Avissivu a sentiri battaria stanotti
è sulu l'universu nna tuttu lu so pisu chi di ncapu a li mei spaddi cu tramusciu d'ossa e sangu e lastimi paru paru jusu jusu nzina a li pedi scinni e riesci e munciuniatu di li visciri di la terra subissa
nun vi spagnati.
Frastuono
Se doveste sentire frastuono stanotte
è solamente l'universo in tutto il suo peso che attraverso me con sconquasso di ossa e sangue e spasmi per intero giù giù sino ai miei piedi scende ed erompe e sprofonda sgretolato nelle viscere della terra
non state a preoccuparvi.
Trad. Maria Pia Virgilio
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Campu ancora
(a Gero Miceli)
Aju l'età l'acciacchi la pinzioni
l'accumpagnu, tri quattru voti a notti, pi pisciari na fìmmina chi cummatti cu mia lu parrinu a capizzu e l'ogghiu santu.
Campu ancora. Culusu sugnu, dicinu ma avi chi nun mettu nasu fora casa ...
E tu ti sistimasti?
Sono ancora vivo
Sono anziano malato pensionato
ho chi mi accompagna, tre quattro volte a notte, a fare pipì • una donna che bada solo a me il prete al mio capezzale con l'estrema unzione.
Sono ancora vivo. Sono fortunato, dicono ma non esco più da casa da ...
E tu ti sei sistemato?
Trad. Maria Pia Virgilio
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Ncagghiu lu silenziu
(a Carmelo Lauretta)
Quantu chiù chi nta na cantunera s'avi puru a sbuttari
sta staciuni, macari
un canciamentu d'aria na picata na pagina ntra ssa tomita di libra ...
ncagghiu lu silenziu
e lu fermu.
Imbattermi nel silenzio
Quanto più che da qualche parte dovrà pure sfogarsi
chissà che, la prossima estate
un cambiamento d'aria un impiastro una pagina di questa caterva di libri ...
io non possa imbattermi nel silenzio
e metterlo sotto chiave.
Trad. Maria Pia Virgilio
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Pinnularu
A taliàrili
manzi accomora arrassu ddocu leggi
pari ch'iddi avissiru bulìu putissiru tuttunzèmmula pi li soi scarpi libiri sdunari suli senza di mia contra.
Chiù frati chi paraggi - lu jiditu grossu drittu ci attacca lu mancìu - dui l'unu cu l'autru a fàrisi cugnu strata guardia.
Un pinnularu buttìa.
Palpebra
A guardarli
fermi al momento poco lì distanti leggeri
parrebbe dovessero avere volontà potessero d'un tratto per le loro libere scarpe andare via da soli senza di me contro di me.
Più fratelli che uguali - il prurito assale l'alluce destro - due l'uno e l'altro a sostenersi a farsi strada proteggersi.
Una palpebra sussulta.
Trad. Maria Pia Virgilio
Marco Scalabrino è nato nel 1952 a Trapani. Ha pubblicato PALORI (Documenta 2000, Palermo 1997), poesie in dialetto siciliano, ha tradotto in Siciliano Nat Scammacca e pubblicato POEMS PUISII (Arti Grafiche Corrao, Trapani 1999), ha tradotto in Siciliano le sillogi Okusiksak e Leone Assiro di Enzo Bonventre pubblicate in POESIE SCELTE (Palma Editrice, Cecina LI 2000), ha tradotto in Siciliano testi scelti di Duncan Glen pubblicati in THREE TRANSLATORS OF POEMS by Duncan Glen (Akros Publications, Scotland 2001), ha tradotto in Italiano Feast of the Dead di Anthony Fragola pubblicato col titolo Festa dei Morti e altre storie (Coppola editore, Trapani 2001), ha pubblicato TEMPU palori aschi e maravigghi (Federico editore, Palermo 2002) poesie in dialetto siciliano con traduzioni in Francese, Inglese, Italiano, Latino, Spagnolo, Tedesco, ha scritto il racconto breve in dialetto siciliano A SUA DISPOSIZIONI, tradotto in Francese da Jean Chiorboli e pubblicato in Francia (Albiana - CCU 2002), ha tradotto in Italiano Eu vivo só Ternuras di Nelson Hoffmann pubblicato col titolo IO VIVO DI TENEREZZE (Arti Grafiche Corrao, Trapani 2002), ha tradotto in Italiano Bagunçando Brasília di Airo Zamoner pubblicato col titolo SCOMPIGLIARE BRASILIA (Editora Protexto, Brasile 2004), ha pubblicato CANZUNA di vita di morti d’amuri (Samperi editore, Castel di Judica CT 2006) in dialetto siciliano, con traduzioni in Inglese, Italiano, Portoghese, ha tradotto in Italiano Parto di Inês Hoffmann pubblicato col titolo PARTO (Samperi editore, Castel di Judica CT 2007).
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