Salvatore Ciro Della Capa nasce a Napoli il 22/12/1983. Si trasferisce all’età di otto anni nella provincia di Bologna. Laureatosi in lettere ora vive a Imola e studia in un corso di laurea specialistica all’università di Bologna. Collabora con il settimanale Sabato Sera; è segretario del concorso “Per le vie del Borgo” patrocinato dal Comune di Castel Guelfo di Bologna. Nel 2002 ha pubblicato la silloge di poesie dal titolo “Al cospetto dell’Alba” per la casa editrice Libroitaliano. Ha dato vita proprio in questi giorni al blog “Verso libero e altro” (v. link a lato)
Ho chiesto a Salvatore, che avevo letto sul blog di Gianfranco Fabbri, di inviarmi alcuni suoi testi. Ne ho fatto una piccola selezione basata, lo ammetto, su un gusto del tutto personale, rivolto sopratutto a quelle poesie dove l'io lirico governa al meglio il quotidiano inteso come possibile chiave di lettura di questioni più universali, attraverso uno stile molto detto e spontaneo, in versi senza particolari soggezioni formali o tributi che non siano quelli del felice fluire della poesia.
MOESTO ET ERRABONDO
E’ deserta la via stasera
tra le luci gialle che illuminano
la strada , solitarie anche loro,
un lampione tentenna a lungo poi stanco
si spegne. Le stelle sono troppo distanti
se anche volessi afferrarne una e farci
due chiacchiere. Neanche il vento
che soffia tra i rami dei pini
sussurra e sbatte. E come questo
vento è la mia vita che passa
e non s’ode tra rovi e spini.
Potessi sentire nella taciturna ora
il pedalare malconcio di una bicicletta,
lo scroscio di un campanello, un freno,
il suono deciso di un cavalletto.
Ricordi quella notte il colore del cielo
quando a un tiro di sasso s’inverò la tua vita?
Lo ricordo era nero, d’un livido chiuso.
Non piovve.
Ricordo tremasti un minuto
poi nulla, sei entrata in casa
( luci calde, languide
mura e un camino lucente,
tu seduta vicino serena).
Guardavo ancora nel buio
dalla finestra appannata
non lontano da te.
Non cambiavano luci di certezze
sul tuo volto, mentre fuori
si svelava un silenzio.
La pioggia del dopo non t’ha riguardato.
Non molto con cui distrarsi
fermi a Crevalcore.
A mattina inoltrata il silenzio
e il sonno ovattano quei pochi
singhiozzi di vita
Ragazzini per strada, una signora al balcone…
Già il nome predice non so che
vergine malinconia, un’ansia d’arrivi
un timore di partenze -
Due signori poi, furenti per il ritardo,
mi accompagnano nel viaggio.
E volano critiche, offese
lodi al tempo passato.
P.S. il nome di Crevalcore era precedentemente Crepalcuore
Soffi
Centinaia di chilometri percorsi
migliaia di luci negli occhi
sogni e risvegli su letti diversi
coltelli nel fianco, spine nei piedi
per essere qui ancora
o non esserci più
all’improvviso.
Luci stanche il mondo
da spegnere, con un gesto dolce.
Perché sempre solo?
Sei lì e non ti levi
nulla si riconosce più,
vivo o no abbracci solo
una montagna di ricordi
che non sai nemmeno d’aver vissuto.
Non fu facile accettare
quando il dottore ci chiamò fuori
per dirci che non c’era niente da fare.
A tua madre non dicemmo nulla però
e tornammo dentro cercando
di sorridere.
Certo non fu facile.
E lei sorrise molto, rise perfino
quando truccasti le carte
per farle vincere quella partita
che partiva persa.
Fumi colori grigi
nuvole d’ore pesanti
foglie che cadono in marzo
alberi spogli che non t’accolgono più.
Ma tu perdonami Orfeo
se al tuo passaggio non cantano
trombe d’oro
rami non flettono al suono
di cetra né i morti
rivivono alla tua voce.
I nostri flauti non trovano
nota che richieda grazia.
E’ tempo di girarsi ormai
Orfeo, di lasciare la pietra dura
ma tu perdonami
se ombre nella notte
non ti faranno dormire
e il tuo lamento di oggi non avrà fine.
Non sei certo della luce stamattina.
Sembra caldo a dirsi dai primi
boccioli sugli alberi
e decidi di cambiare il guardaroba
per non sudare troppo.
Poi comincia a piovere e smette subito.
Ti affacci e l ‘edera sul muro
di fronte non fa più il suo odore.
O fa sempre lo stesso.
...para bellum
Là è l’unico inconveniente/dell’attacco – insieme a due bambini/ di a malapena un anno, contano poco - / e a pochi aveva confessato paure e dubbi/ affogati nel nero del pane e delle salive./ Ora lo puoi vedere parlare/ con le falene attorno a un lampione/ o a una fiamma./ Negli occhi fissi ha incisa/ tutta la potenza della strage.