Mercoledì, 16 giugno 2010
Il settimo "foglio" dei lavori di traduzione eseguiti nella primavera del 2009 durante la visita a Pistoia dei poeti francesi dello Scriptorium di Marsiglia riguarda la versione che Valérie Brantôme ha eseguito di una bella poesia (peraltro già presente in rete) che Martino Baldi ha scritto in occasione di una sua permanenza nei Caraibi dove, secondo quanto mi scrive, svolgeva la mansione di istitutore privato di due marmocchi di un qualche notabile locale. Una elegia moderna, tra Lee Masters e Walcott, o, rovesciando Ungaretti, una malinconia di naufragi terrestri che Valérie rende con accuratezza e rispetto dell'armonia (basti confrontare gli ultimi tre versi per rendersene conto).
Sulla tomba di James U. Curtin, nel centenario della morte
A Quarantine Point, un promontorio roccioso proteso a mezz’aria verso il mar dei Caraibi, che lo circonda quasi a trecentosessanta gradi, all’estremo sudovest dell’isola di Grenada, in mezzo a grandi pietre rade sparse su un prato misteriosamente verde e apparentemente curato in mezzo alla foresta bruciata dalla stagione arida, c’è una sola tomba con un piccola modestissima lapide, ai piedi di un piccolo arbusto sempreverde. Probabilmente è il primo e l’ultimo punto della costa da cui si avvista il sole rispettivamente all’alba e al tramonto. Sulla lapide è incisa una scritta, orientata non in direzione dei passanti ma in direzione del mare e del tramonto: In loving memory of my dearly beloved husband James U. Curtin. Born Toronto Oct. 29, 1875 - Died March 24, 1907.
Infine giungerai a questo palmo di terra, a questo assurdo tuffo di un prato inglese strappato alla foresta, al gesto di una mano di roccia aperta verso il mare e troverai, forse, le ragioni che mossero ogni tuo illecito passo verso il nulla, ogni respiro strette in convivio poco prima dell'alba sulla lapide azzurra dell'oceano, e sull’altra minima e ferma le tue labbra ritrarsi nel silenzio che si irradia prima e dopo la scena. E troverai nel nome di un fratello, my dearly beloved husband James Umbert Curtin, ancorato e steso qualcosa che ti stringe e lì saprai che c’è, che esiste, che non muore il qualcosa nascosto che si perde, il patto segreto del viaggio. E forse per qualcosa avrai dovuto attraversare i cieli e le foreste, sentire il canto acuminato delle scimmie e dei serpenti mentre cala la nebbia notturna nel vulcano e nel verde più verde, nell'azzurro più azzurro, nel nero più nero per qualcosa, forse, avrai dovuto vedere spalancare le fauci della bestia letale e l'omicidio perfetto pronto da estrarre nel fodero della notte.
Oh, beloved wife, Miss Curtin, che cent'anni adesso gravano sulle tue lacrime, quale errore mi guida qui, testimone in ritardo del doloroso culmine del tuo amore, ignota invidia degli amanti che non sanno che la luce dell'inizio è la luce della fine e la luce della fine un tepore eterno e che i nostri stupidi gesti altro non sono che l'ombra della tua infuocata speranza di salvare qualcosa che non esiste se nessuno la nomina. Miss Curtin, in nome della luce del cui mistero è ombra, io ti chiedo cosa è accaduto veramente qui, ti chiedo di conoscere il miracolo che ti spinse ad amare quest'uomo fino a offrire per sempre alla sua fronte il mare. Lo invidieranno adesso Elena e Didone e le più nobili amanti dei poeti a cui cuori di carta offrirono pomi di cartone, non questa felicità improvvisa della sorte questo perpetuo bacio sulla fronte un infinito "buongiorno (o buonanotte), amore" che con l'andare del sole gli ripeti e che insegni adesso a chi si spinge fino alla soglia marina del cercare, in questo piccolo spoglio e nascosto definitivo mausoleo della luce.
Martino BALDI
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Sur la tombe de James U. Curtin, au centenaire de sa mort.
À Quarantine Point, un promontoire rocheux penché au milieu des airs, sur la mer des Caraïbes qui le ceint quasiment à 360 degrés, à l’extrême sud-ouest de l’île de Grenade, il y a, au milieu de quelques grandes pierres éparses en un pré mystérieusement vert et apparemment entretenu au cœur de la forêt brûlée par la saison aride, une sépulture unique avec une petite pierre tombale très sobre, au pied d’un arbuste toujours vert. C’est probablement le premier et l’ultime endroit de la côte duquel on aperçoit le soleil tant à l‘aube qu’au crépuscule. Sur la pierre, en direction de la mer et non des passants, est gravée une inscription : In loving memory of my dearly beloved husband James U. Curtin. Born Toronto Oct. 29, 1875 – Died March 24, 1907.
Pour finir, tu parviendras à cet empan de terre, à ce plongeon absurde d’un gazon anglais arraché à la forêt, à ce geste d’une main de roche ouverte sur la mer et tu trouveras, peut-être, les raisons qui ont mu chaque souffle, chacun de tes pas illégitimes vers le néant, entassées au banquet peu avant l’aube sur la plaque azur de l’océan, et sur l’autre, infime et immobile tes lèvres faisant retraite au silence qui irradie l’avant et l’après-scène. Et tu trouveras dans le nom d’un frère, My dearly beloved husband James Umbert Curtin, ancré et allongé sans vie quelque chose qui t’étreint, et là tu sauras qu’il y a, qu’existe, que ne meurt pas ce quelque chose enfoui et perdu, le pacte secret du voyage. Et sans doute c’est pour quelque chose que tu auras parcouru cieux et forêts, pour entendre le chant perçant des singes et des serpents quand la brume nocturne descend au volcan et dans le vert plus vert, dans l’azur plus bleu, dans le noir plus noir, c’est pour quelque chose sans doute que tu auras vu s’ouvrir béante la gueule de la bête meurtrière, vu le crime parfait mûr pour être extirpé du fourreau de la nuit.
Oh, beloved wife, Miss Curtin, cent ans maintenant pèsent sur tes larmes, quelle erreur me conduit ici, témoin retardataire du pic tourmenté de ton amour, jalousie ignorée des amants qui ne savent pas que la lumière de l’aube est lumière du couchant et la lumière du couchant, une éternité tiède, et que nos gestes insensés par ailleurs ne sont que l’ombre de ton ardente espérance de garder sauf quelque chose qui n’existe pas si nul ne le nomme. Miss Curtin, au nom de la lumière dont le mystère est ombre, je te demande ce qui réellement est advenu ici, je te demande de connaître le miracle qui te conduit à aimer cet homme jusqu’à lui offrir la mer pour façade éternelle. Et l’envieront dorénavant Hélène ou Didon et les plus nobles amantes des poètes auxquelles des cœurs de papier offrirent des pommes de carton, non cette euphorie impromptue du destin ce baiser à vie sur le front un sempiternel « bonjour (ou bonsoir) mon amour » que tu lui répètes dans la marche du soleil et que tu enseignes aujourd’hui à celui qui s’aventure jusqu’au seuil marin de la quête, en cet ultime petit mausolée, nu et dérobé, de la lumière.
Trad. Valérie Brantôme
Martino Baldi (nota biobiblio del tutto provvisoria) vive in provincia di Pistoia, dove è nato nel 1970. È laureato in letteratura italiana contemporanea all’Università di Firenze con una tesi su Goffredo Parise, con cui ha vinto il Premio Palazzeschi. Ha curato ricerche, apparati e cronologia per la mostra bibliografica su Piero Bigongiari Voci in un labirinto (Pistoia, luglio 2000) e relativo volume (Pagliai Polistampa, Firenze 2000). Ha pubblicato la prosa Morte improvvisa di un portiere di notte (2001) e la plaquette di poesie Trentadue lattine (2002), entrambe per l’Asscultpress di Pistoia. È stato fondatore dell’e-magazine «Nabanassar» e vicedirettore del trimestrale «Ciminiera», ora defunto. Suoi testi poetici, narrativi e di critica letteraria e cinematografica sono stati pubblicati e segnalati su volumi, antologie e riviste italiane ed estere. Nel novembre 2005 ha pubblicato il suo primo libro organico di versi, Capitoli della commedia, nella collana Parsifal delle edizioni Atelier. Attivo in diversi settori della cultura e dello spettacolo, è stato assistente alla drammaturgia e alla regia della regista teatrale Cristina Pezzoli ed ha organizzato eventi di poesia per il Comune e l’Università di Firenze.
Della sua poesia ha avuto modo di dire: Faccia pure schifo o pena o tenerezza! Come posso farlo io. Ma, accidenti, chi di noi ha ormai veramente una voce sola? Chi è uno stile, di noi? La tradizione stessa è ridotta a una manciata di schegge di uno specchio rotto che ci circolano per la gola. Io sono Montale, io sono Bigongiari, io sono Pasolini , io sono Penna, Caproni, Campana, Sereni... sono pure Carmelo Bene e, per quel che mi riguarda, sono pure Chet Baker, John Coltrane, Michelangelo Antonioni, Alberto Sordi, Thomas Bernhard, l’ingegner Gadda, Giordano Bruno, Julio Cortazar, Amici miei (i primi due atti) e un sacco d’altra gente e d’altre cose, molto diverse le une dalle altre...
Valérie Brantôme è poetessa e traduttrice di opere letterarie in francese e in italiano. Ha collaborato diverse volte a questo blog, nella traduzione di testi di Jourdan e Sorrente. Fa parte dell'Associazione Scriptorium di Marsiglia
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