Ringrazio Silvia Rosa di avermi mandato qualche sua poesia da leggere. Cerco sempre di leggere quello che mi arriva, prima o poi. Poesie anche molto diverse tra loro, diversamente ispirate, diversamente lavorate. Poesie che parlano d'amore, per lo più nella sua variante dolente, ma anche in quella erotica, o meglio tutte e due. Poesia del corpo, molto citato, molto chiamato in causa, e dell'anima, che sembra possa manifestarsi però quasi soltanto in una interazione tattile con il corpo, o del corpo farsi simbolo, o cercare nel corpo risposte, un sua "usabilità" affettiva di conferma e di identità. Diciamo per inciso che il corpo è ormai da tempo un topos nella poesia femminile contemporanea, dapprima come riappropriazione. poi nuovo terreno di disagio e luogo in cui si incrociano ancora problematiche irrisolte (v. anche qui e, come contrappunto, qui). La questione, qui e altrove, è, per dirla (malamente) con Carver: di cosa parliamo quando non parliamo d'amore? Io credo che Silvia avrebbe le potenzialità, se vuole lavorarci sopra, di affrontare anche altre dinamiche dell'essere, altri materiali poetici.
Estraggo qui tra tutte quattro poesie che mi hanno interessato di più. Almeno per una ragione fondamentale: sono quelle, sopratutto le prime due, che più si avvicinano a mettere in atto una "crudeltà" del linguaggio, intesa nel senso (o in uno dei sensi) che Artaud dava al termine, che più riescono ad eliminare certi filtri, che maggiormente evitano il rischio dell'autocompiacimento del dolersi a favore di sentimenti più primari, in questo modo "mettendo in scena conflitti naturali", più coinvolgenti.
(NELL’) ASSEDIO
Il battito asciutto della fuga
quando restavo immobile,
l'attrito con cui di trasparenze
innocue in una farsa
(mi) sprofondavi
nella culla -fredda- del mio nome,
a strapiombo su me stessa,
quando chiamavi l'ora
al crocevia di una domanda
d'ordine e nervatura tesa
ed erano coriandoli
al suolo appiccicoso
i miei passi inconsistenti
il fiato che si condensava
in brina di silenzi
mi si fosse incrinata appena
la corsa a spasmi di terrore
fossi caduta in un vortice turchino
che mi avesse scoperta
una falda affilata di dolore
un brano acuto di voce
-almeno uno- da infilare all'occhiello
come un bottone ricucito al varco
tra le mie ginocchia
tra l'asola stretta della bocca
tra gli schizzi di pioggia sporca
-non (c')ero-
non c'era dove andare
nell'assedio che fin nel midollo
mi facevi tremare.
(ANATOMIA DI) UN ASSOLO
Per sentire vivo
questo corpo
in superficie ricompongo (di te)
il muscolo contratto del pensiero
lacero l'imene del ricordo dal profondo
per il peduncolo avvizzito del tuo nome
risalgo l'occhio muto di carezze e d'ombre
impastando il desiderio fino all'argine
del fianco, che si sloga -smagrito-
in frustoli di ruggine e vocali di respiro
ma non volo
mi sciolgo asciutta
un coagulo abortito di piacere
esangue al suolo.
(Sono stanca)
La metrica severa del tuo
andare e tornare e andare
mi puntella nelle tempie
un contrappunto quest'indecisione
un tarlo fra le cosce un'effrazione
che non raggiunge l'osso molle del godere
che non mi fa venire (a te)
per quanto ripercorra con le mani pube ventre seni
al ritmo che impone la tua assenza
fino al nucleo alla molecola della Parola (quel tuo niente)
un esercizio fonetico -sì no forse- che mi arrende
e mi squaglio tra le costole
nell'inguine nell'immaginazione
ma non muoio
mi addormento fredda
vuota schiusa
in un assolo.
ISTRUZIONI PER L'USO
Spogliami lentamente
sfilami prima il nome
poi il cuore
in ultimo strappami via la mente.
Ricorda di starmi sulla pelle
in verticale
premendo come peso a piombo
tra le cosce sullo sterno
aderendo bene al solco vivo
del volto.
Ondeggia sempre dalla parte
opposta alla mia direzione,
non cedere alla tentazione
di un rotondo abbraccio
mantieni la tua forma
la linea nera di demarcazione.
Chiudi sempre ogni porta:
si capisce che se scappo
tu non puoi restare
del resto non si è mai vista
un'Ombra
senza nulla da macchiare.
ASTRATTA CARNE
Astratta carne
ti vivo di parole
e non di sangue
prigione di respiri
e braccia e occhi e gambe
condanna, che ti sconto
giorno dopo giorno dopo notte
dopo morte via
raschiandoti
dall'ombra del mio corpo
liberandomi...
BREVE NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
Silvia Rosa nasce a Torino nel 1976. Laureata in Scienze
dell’Educazione, scrive poesie e racconti, che ha pubblicato qua e là
su riviste e blog (Viadellebelledonne, Il sottoscritto, Musicaos,
Poien, RivistaInutile, Declinato al femminile, La via dei
poeti-Montparnasse Cafè, Historica, Isola Nera, Poetarum Silva,
Filosofipercaso) e che compaiono anche su alcune antologie collettive
di Concorsi Letterari a cui ha preso parte, risultando, ogni tanto, tra
i vincitori (Pensieri d'inchiostro- Giulio Perrone Editore; Premio
Nazionale di poesia e narrativa Alberoandronico; Premio Laurentum per
la poesia; Rac-corti2, Giulio Perrone Editore).
foto: Stéphane Giner, Solitude - from Flickr, CCL