Venerdì, 4 dicembre 2009
Libro da meditazione, questo di Emilio Paolo Taormina (edizioni del Foglio Clandestino, 2009), come molti vini di Sicilia. Costruito su testi brevi e apparentemente occasionali, con una "scrittura del frammento e della dislocazione" secondo Massimo Barbaro, ed echi ineludibili di Ungaretti, di Montale, di Pascoli e perfino del Gino Paoli di "Sassi", dà subito l'impressione di essere stato scritto da un uomo intento ad odorare, di qualcosa di antico, forse un otium, qui inteso nel senso più nobile del termine e tuttavia niente affatto spensierato o alieno da pene.Libro di odori e profumi, innanzitutto. Non si contano le volte in cui spuntano tra i versi il gelsomino e i limoni, in cui la brezza diventa qualcosa di tangibile e olezzante di salsedine. Il mare infatti è sempre vicino, visibile e udibile, presenza ctonia e testimone di una insularità dell'anima, componente essenziale, come la campagna e le colline, di una natura sempre presente e naturata ovvero familiare e perpetua, che fa da tessuto sinestetico alla scrittura del poeta. Anche quando parla d'amore o di morte l'io è immerso in questa natura, dove l'io stesso abita in maniera inscindibile. E questo essere nella natura non è puro paesaggio o sfondo, anzi implica, se si può dirlo in termini cinematografici, un movimento di macchina o dello sguardo dal circostante mondo all'interno dei sentimenti e viceversa, e con ciò quindi una corresponsabilità della visione della natura nella formazione del pensiero.Che prende forma spesso in testi essenziali, dalla versificazione corta e spezzata fino al limite del singolo lessema, che scende fino all'aforisma e ricorda (ovviamente) l'haiku, ma anche altri maestri della forma "corta" italiana, ermetici e non, nel pieno di una tradizione a cui Taormina non può non appartenere. Un esempio per tutti: attraversando un campo di papaveri il disco trasparente della luna
Naturalmente il lavoro di Taormina si svolge anche su testi di più ampio respiro, che sinceramente sono quelli che preferisco anche perchè in essi l'idea poetica, pur fulminante già nei componimenti brevi, ha modo di svilupparsi nelle sue sfumature più liriche. Ma in tutti il procedere del linguaggio è lineare e sottrattivo, quasi scarno, fatto di tempi verbali semplici, di sostantivi concreti e terragni, e una aggettivazione non ricercata che rimanda piacevolmente a una koiné familiare, come una confortante aria di casa, anche in quei testi in cui la riflessione si sofferma sul dolore, sull'assenza, sul tempo che scorre inesorabile e a cui siamo legati, tutti, da uno "sposalizio". Perchè, è bene dirlo, in tutte le poesie, anche le più "leggere", anche nelle nature morte guttusiane fatte di poche parole vibranti è presente una costante meditazione e il giudizio non è mai sospeso, pure nei momenti in cui il poeta sembra immerso in una sorta di contemplazione . Questo flusso che attraversa un libro che con qualche ragione possiamo definire filosofico va di pari passo con un flusso armonico di testi - susseguentisi fittamente e la cui separazione è quasi una convenzione - che inviterebbe a leggerlo con una certa avidità. Al contrario, forse più di altri libri di poesia e proprio perchè meditata, questa raccolta va affrontata con qualche lentezza, anche per contrastare un certo effetto di saturazione e di vertigine che la ferrea compattezza stilistica suscita. Va sfogliata cioè come un libro dei pensieri, uno o due al giorno, da leggere sotto una pergola con un bicchiere di Malvasia di Lipari, alzando ogni tanto lo sguardo verso il mare. (g.c.)
nei tuoi occhi scorre un nilo verde tra le tue ciglia si nascondono ibis sono venuto a bussare alla tua porta mi hai chiuso il cuore ti ho carezzata con le parole ti ho stretta tra le mie mani come grappoli d'uva nel mio sangue sei mosto e vino
il materasso di crine era fresco le lenzuola odoravano di lavanda dalle persiane spalancate entrava il fruscio della campagna come acqua gassata con le mani provavo a fare correre ombre di conigli e lepri sulle pareri finché narcotizzato dall'aroma di amarena e di susine la testa non sprofondava nel cuscino
sotto gli occhi azzurri del cielo ha un sussulto verde alla tempia l'aranceto tra queste colline è prigioniera un'eco non siamo più ma l'anima non vuole andare
nei pleniluni dei tuoi occhi sono io quello che sussurra il tuo nome sulla collina del tuo corpo ho piantato una volta ulivi e aranci sono morto ad ovest della tua mente dove il mattino è un incendio di pavoni e sabbie d'oro
la parola nel silenzio spaccava il guscio come un geco dai grandi occhi
il primo raggio penetrava una lama d'oro nel cuore del sogno un merlo tagliava un silenzio colmo d'arance stupite
gli amori andati sono come i vecchi siedono l'uno accanto all'alto non sanno che farsene delle parole
il discorso senza interpunzioni affidava la lettura a un geroglifico per valichi di collina con fili d'oro di sicilia viaggiava verso il tempo dei tolomei
poi il frinire delle cicale cadeva nel fondo del silenzio come la morchia dell'olio lasciando la notte densa e trasparente il sonno era pronto a gettare l'ancora in acque profonde senza sogni si spegnevano le luci delle case sparse le barche nella cala erano vitelli alla greppia nessuno voleva partire
la nostra casa con tutte le finestre aperte beccheggiava come una barca che tira le reti da nord straripava l'aroma d'origano della collina al tramonto il vento metteva le scarpe nuove ticchettava nel baglio come a una festa in piazza tu dalle grotte marine con i capelli bagnati e sporchi d'alga tornavi verso casa con un grande pane nero rotondo e una cesta di frutti di mare
un asino legato dietro una porta l'insegna verde della farmacia e sotto le tegole la notte che sognava d'essere un puledro
mi sveglia un rumore di serpe forse il meriggio non riesce a scrollarsi l'afa o il fruscio del sogno che va via come un geco tra le foglie secche o forse le anime delie antiche campane sepolte da qualche parte s'è finita una guerra
latravano nei fiumi sotterranei i cani inseguendo i soli delle estati le spiagge si scuotevano dalle spalle remi spezzati e cocci d'anfore la luna planava come una colomba sui tetti i ricordi si avvinghiavano ai rami del silenzio
non ricordo il suono della tua voce è corallo rosso nel mio petto la risacca ha lasciato sulla spiaggia quello che s'è distaccato da noi le onde vi corrono intorno a piedi nudi
se il tuo silenzio è morte vorrei essere la terra in cui riposi se sei altrove vorrei essere il tuo kimono a sigaretta che fumi qui resta tutto uguale quando tiro un secchio d'acqua dal pozzo per innaffiare l'orto ne bevo un sorso come facevi tu
amo la ruga sulla tua fronte pigra come una lucertola i sentieri di capelvenere sul palmo della tua mano dove si smarrisce la mia sorte nei tuoi occhi il corpo è un'onda che si struscia ai sassi e sfugge le carezze
oggi è così freddo il sole che agli alberi del nostro giardino dolgono i rami forse hai seppellito la tua età precaria in un nido di fagiani basta una piuma che rema l'aria un niente per perdersi in un sonno profondo fra cento flauti d'osso non trovo la tua voce non nasconderti dall'altra parte della curva lega un nastro rosso al silenzio chiedi alle rose di tornare in boccio
quando busserà l'angelo preparati ad andare non è necessario conoscere le coincidenze l'ultima stazione è sempre deserta
Emilio Paolo Taormina è nato nel 1938 a Palermo dove
vive. Dal ‘62 cura un’attività commerciale specializzata in musica
rock, folk, blues, jazz. È autore di una vasta produzione di narrativa
e poesia. Sue opere sono state tradotte in albanese, armeno, croato,
francese. inglese, portoghese, russo, spagnolo e tedesco. È presente in
antologie e riviste internazionali.
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Tracciato: Nov 17, 20:58