Oltre la finestra farneticazioni sul tavolo amori
la luce tonchiosa in vecchie bomboniere.
La morte progenitrice lasciò aperto,
le sveglie ticchettano dietro la porta sugli armadi.
Vorresti sentirti ancora oltre questa porta?
Vorresti essere terribilmente vivo?!
Tuo figlio nei vestiti quieti del nonno
piange già, scalcia dietro il muro sottilissimo,
la lampadina ammicca attraverso il presepio rotto.
Dalla darsena di Bubeneč a lungo echeggia
la sirena delle navi nel limpido, gigantesco mattino.
(da Orribile fulgore, 1991)
FALENA
Di notte, quando ci mettiamo in marcia per la caccia
(con volti estranei,
con occhi, bocche di grandi falene),
quando con le mani, che non sono più nostre,
tocchiamo i ricordi,
sentiamo chiaramente la nostra preda notturna.
Ci adescano le voci in lontananza alla stazione,
ci adescano le luci, il lampo del biacco nell’erba
ancora sembriamo minuziosamente un sogno
perlomeno a noi stessi.
Macchie grandi, belle, scarlatte
ci fiammeggiano sulle ali
su campi d’orzo, di girasoli e rape.
FULGORE
a Jiří Brabec
Fulgore giugnolino, catinelle, biciclette.
Un diamante di mosconi
in cortile tagliava lastre d’aria –
mio nonno con in mano l’orologio
e le lancette gattonavano da sé...
Farnetica in me
la ritrosia di quell’attimo.
Come se ticchettassi nelle sue bonarie mani,
di me stesso figlio e padre,
mentre dalla bocca della pompa
oltre il cancello tra le peonie continua a spruzzare una
[tiepida felicità.
Farnetica in me, ticchetta incessante,
come se fossi orecchio alla polvere del mio corpo
e in lontananza oltre il cancello
sbadiglia lo spazio come una belva.
1985
Petr Halmay (Praga, 1958) pubblica solo nel 1991, in patria. Come per altri autori era imposto il silenzio; non sono solo i muri concreti ad impedire di “vedere e sentire” chi crea e vive dall’altra parte… Creare è una parola che in Halmay assume significati concreti e fisici. Egli ha svolto varie professioni, soprattutto manuali – è stato, tra l’altro, camionista, magazziniere, uomo delle pulizie, insegnante, macchinista e fontaniere. Dal 1998 lavora al Teatro nazionale di Praga come attrezzista-falegname.
Non si poteva ‘battezzare’ la collana ‘la selce e il loto’ con un autore migliore (vedi nota esplicativa nel sito). Grazie alla passione e alla competenza di Antonio Parente abbiamo ora la possibilità di leggere e apprezzare il poeta. Scrive Pavel Hruška che talvolta «… i bilanci e i ricordi del soggetto lirico siano situati quasi ‘ai margini del mondo’(nel deposito scenografico del teatro, sulla spiaggia di un lago, in periferia, ecc.) e la loro cornice diventino anche i momenti del crepuscolo o altri cambiamenti luminosi». Anche la città, un tema ricorrente nell’autore, «viene trattato con nebbiosa ambiguità o quasi con indefinitezza astratta…» Pure l’ambito della terminologia teatrale viene richiamato in Halmay perché «molte sue poesie possono essere considerate anche come una sorta di atti drammatici, dove le oggettività raffigurate acquistano una loro autosufficienza: affascinantemente illuminati e “fissati”, si manifestano in una sorta di vuoto scenico, impietosi e necessari nella loro presenza improvvisa e suggestiva.» Infine, in controtendenza con certa autocelebrazione acritica che serpeggia in ambiti poetici, conclude Hruška: «Ad un attento lettore i testi di Halmay fanno di certo venire in mente ciò che sottolineavamo all’inizio, cioè l’insoddisfazione dell’autore per (o anche davanti al) la propria opera, poiché le considerazioni sulle possibilità e le limitazioni del gesto letterario/creativo fanno parte dei temi centrali che caratterizzano fino a questo momento la produzione del poeta. Se egli guarda al processo di creazione poetica, tra l’altro, come ad una sorta di autoanestetico, qualcosa di ridicola illusorietà (“Scriver versi… / Che decadenza! / Amare l’impronta del tempo / nel proprio cervello…”), non possiamo però considerarla come una facile scusa o uno sforzo metatestuale di “coprirsi le spalle” davanti a potenziali critici o interpreti. L’ethos di questa poesia è determinato anche dalla tensione tra l’essere conscio della relativa inutilità e stoltezza della creazione poetica e la coscienza di una certa impossibilità a non compiere proprio un tale gesto sciocco.(dalla nota redazionale per L'impronta del tempo, di Petr Halmay, traduzione di Antonio Parente, ed. Foglio Clandestino)
Per un quadro più complessivo vedi anche quanto hanno scritto e pubblicato Francesco Marotta (qui), Federico Federici (qui) e Antonella Zambelloni su Paginazero (qui).