Venerdì, 28 novembre 2008Roland Barthes - Haiku, segni, sensoCommenti
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roberto, leggi questa, fonte Corriere, data imprecisata:
Caro Montanelli A scriverle e' una ragazza di Napoli studentessa presso l' Istituto Universitario Orientale. Qualche anno fa mi capito' di leggere, sulla "stanza", una sua risposta in cui parlava di un "curioso postino" che era venuto dal Giappone a combattere sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale. Mi riferisco ad Harukichi Shimoi che, approfondendo un po' le mie indagini, ho scoperto essere stato un suo buon amico. Da qui l' idea di scrivere una tesi di cui lui, il suo amore per la nostra terra, la sua amicizia con D' Annunzio, avrebbero dovuto costituire gli argomenti. Cio' che vorrei conoscere e' lo Shimoi "uomo", quel lato oscuro della sua persona che sicuramente lei potrebbe raccontarmi meglio di chiunque altro. Felicita Merlino, Torre del Greco (Na) Cara signorina, Fra i miei "Incontri" ce n' e' uno con Harukichi Shimoi che lei puo' consultare. Comunque, eccogliene i cosiddetti "estremi" raccontatimi da lui stesso nei lunghi mesi della mia permanenza in Giappone. Trovare una persona nella Tokio dell' immediato dopoguerra, ridotta non in macerie, ma addirittura in cenere, era impresa disperata. Il nostro ambasciatore Blasco d' Ajeta, che lo conosceva, mi disse: "Se in questo formicolio di brutti giapponesi ne incontri uno che ti colpisce per la sua bruttezza, e' lui". Comunque, fu lui che mi venne a trovare, ma non volle mai dirmi come aveva fatto a sapere che lo andavo cercando. Era veramente brutto: piccolo e tozzo, con due sopracciglia a mezza strada fra le palpebre e l' attaccatura dei capelli. Prima di parlarmi (non in italiano, ma in perfetto napoletano) del Giappone, volle che gli parlassi io dell' Italia e della fine di D' Annunzio e Mussolini, dei quali era stato l' amico e il "postino". Era andata cosi' . La prima guerra mondiale lo aveva sorpreso mentre insegnava all' Istituto Orientale di Napoli. Subito aveva fatto domanda di arruolamento volontario nel nostro Esercito, e vi era stato accolto fra gli "Arditi" cui dava lezioni, in trincea, di karate' . Con loro, aveva seguito D' Annunzio nella sua Marcia su Fiume. E quando il Maresciallo Caviglia mise assedio alla citta' per impedirle contatti e rifornimenti dall' esterno, il Vate diede incarico ad Harukichi (che chiamava "camerata Samurai") di portare i suoi messaggi al futuro Duce a Milano. Era l' unico infatti che poteva passare attraverso i posti di guardia di Caviglia senza essere perquisito: chi poteva sospettare di un giapponese che piu' giapponese non si poteva? A furia di far la spola fra i due corrispondenti, il messaggero se n' era guadagnata la fiducia e ne aveva raccolto qualche confidenza. I due, mi disse, non si amavano, anzi si detestavano, ognuno sospettando che l' altro volesse rubargli la parte di protagonista. Per il Vate, Mussolini era "' nu cafone", e per il cafone il Vate era "' nu pagliaccio". Ma, aggiungeva, "chistu lu dico a vui, e a vui solo, tengo ' a vostra parola, guaglio' ". Harukichi mi procuro' incontri con tutte le persone che in quel momento contavano in Giappone, escluso, si capisce, l' imperatore, ma incluso l' unico kamikaze scampato alla morte perche' nel momento in cui stava per spiccare il suo volo senza ritorno era scoppiata la pace, cioe' la resa del Giappone. Mi ci volle una notte intera per afferrarne lo spirito e la mentalita' . Finche' , per farmeli capire, Harukichi ricorse a questa scultorea definizione: "I giapponesi sono gli unici napoletani al mondo pronti a fare quello che dicono, cioe' che direbbero se fossero capaci di dirlo". E per dimostrarmi quanto napoletani fossero i giapponesi mi condusse a una trentina di chilometri da Tokio, dove erano sorti alcuni piccoli villaggi, ognuno dei quali portava il nome d' un Paese straniero. Ce n' era anche uno che si chiamava Italy dove si producevano, copiate tali e quali, le macchine da cucire Necchi, naturalmente senza pagamento di nessun brevetto perche' protette da quell' irreprensibile "made in Italy". Non so cosa valga Harukichi come scrittore giapponese. Come uomo e come amico, valeva moltissimo. Non smettero' mai di rimpiangerlo.* saluti G:)
Caro Giacomo,
ho apprezzato molto questo tuo post. Ho appena preso in biblioteca Le Variazioni sulla scrittura con Il piacere del testo in appendice. Il tutto presentato da Carlo Ossola. Stavo pensando di leggere tutta la bibliografia di Barthes e di scrivere qualcosa. Buona domenica Alessandra |
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(Sei Sh?nagon) Semplici, colloquiali, accessibili. Brevi e precisi. Sono gli haiku nella riflessione di Barthes e il tranello teso alla smania tutta occidentale di gravare d'un prezzo (e d'un peso) il simbolo e la metafora. Essenziali, come le cos
Tracciato: Dic 11, 01:37