Ho comprato il n. 200 di "Poesia", un numero antologico, a detta di alcuni da non perdere, dedicato a 400 poeti del '900 internazionale. Ci sono luci ed ombre, alti e bassi, testi ininfluenti, omissioni (dov'è Alda Merini? e Antonio Porta?) o scelte che non condivido. Per esempio, cosa è successo in Italia dopo Raboni? Se non è successo niente non è un buon segno, almeno nel senso che nessuno che sia nato dopo il 1950 ha lasciato un segno nel '900. Oppure, perchè non limitare il numero dei presenti ai più rappresentativi, ma con più testi di ciascuno, evitando un internazionalismo che, per quanto interessante, rischia di essere forzato o comunque poco indicativo? Così come si presenta, questo numero appare talvolta come una raccolta un pò improvvisata e acritica di autori da tutto il mondo, senza una qualche coerenza se non quella dell'appartenenza geografica o linguistica o meramente cronologica. Ma quello che mi ha colpito di più è che si tratta di un grande cimitero della poesia, una specie di Antologia di Spoon River: quasi tutti gli autori presenti infatti sono morti o sono illustri patriarchi che al momento non è dato sapere se sono ancora vivi. Che vuol dire questo? Forse che il Novecento è morto e non solo come secolo, se si è scelto di dare poco spazio alle generazioni della transizione verso il terzo millennio, indicando implicitamente il timore che il passaggio del testimone non sia avvenuto. E se il Novecento è morto, spero che questo non sottintenda che è morta pure la poesia. Sappiamo bene che non è vero, o forse, come dice Edoardo Sanguineti (in questi giorni a Bologna) il Novecento è un secolo interminabile...