Di Teresa Ferri ho scoperto per caso che si tratta di una poetessa cha avevo già avuto modo di notare, seppure sotto un pseudonimo, quasi otto anni fa, quando i blog non esistevano e io mi divertivo a curare la sezione poesia di un defunto sito letterario, I Fogli nel cassetto (ne ho già parlato qui tempo fa). Mi fa quindi piacere pubblicare qui qualche suo testo, di un lirismo limpido e contenuto, fatto di parole "senza orpelli", di "qualche nota (...) dallo spartito uscita".
Teresa Ferri insegna “Teoria e pratica del testo letterario” nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Nel 2001 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Fiori di corallo (Pescara, Tracce); successivamente Alfabeti a perdere (Roma, Il Filo, 2004); una terza raccolta di liriche, Campanile d’aria, è uscita di recente per i tipi di Carabba (Lanciano). Diverse sue poesie e racconti sono apparsi su riviste e in antologie di poeti e scrittori emergenti. Con Fiori di corallo e con alcune liriche inedite ha vinto diversi premi nazionali e ha conseguito varie segnalazioni. Tra i numerosi studi e contributi critici, si segnalano le monografie su G. Pascoli (Pascoli. Il labirinto del segno. Per una semantica del linguaggio poetico delle ‘Myricae’, Roma, Bulzoni, 1976; Riti e percorsi della poesia pascoliana, Roma, Bulzoni, 1988); su U. Saba (Poetica e stile di Umberto Saba, Urbino, QuattroVenti, 1984); su D. Campana (Dino Campana. L’infinito del sogno, Roma, Bulzoni, 1985) e il volume Le parole di Narciso. Forme e processi della scrittura autobiografica (Roma, Bulzoni, 2003). Sia su scrittori otto-novecenteschi (D’Annunzio, Manzoni, Quasimodo) che su quelli contemporanei (Bossi Fedrigotti, Conti, Duranti, Lunardi e Tabucchi), sono apparsi diversi contributi in riviste e miscellanee italiane e straniere. Infine ha curato monografie, antologie e ristampe di testi letterari di autori abruzzesi dell’Otto e Novecento (E. Marcolongo, D. Ciàmpoli, E. Janni).
E fosti
E fosti
bufera che scardina platani tra l’ire
smarrite di naufraghi
grafemi impazziti di sole,
anagramma di giorni senza
sguardo nell’anima,
solitudine di folle plaudenti al mistero
di rosari sgranati
sul finire del rito
quando ancora quella mano tremolava di acque
e nel lago
nero pescheti a irrorare profumi nel cielo
dove oggi mani
si affannano a
irrobustire arroganze.
Fosti morso nelle carni scoperte
(dov’era l’anima
pellegrina di paesi d’incensi e di ceri?)
e grata nuda di rampicanti a
rinfrescare lutti
bianchi
come fogli da riempire,
come strade senza uscita
come nevi inviolate da urla e bestemmie
o resina trasparente di giade da
cogliere tutte
quando il grano avrebbe sollevato superbie
al suo dio
senza
sconto di pena.
Lì
Nell’imperfetto trapassato
delle nostre intenzioni
calpestiamo
veglie e sonni
che sgretolano pareti
dove si riflette
l'andirivieni di ombre
scrostate
di luci,
custodite in tasca
come tesori
di patrimonio collettivo
che tu dissemini
a dissacrare ossessione.
Su per i vicoli bui
Parole
ho raccolto per la strada parole,
parole maledette e senza orpelli
su per i vicoli bui
dove nemmeno più i gatti
si strofinano contro i muri
e qualche lattina
rotola disperazioni vuote nell’urlo
che di notte
insolentisce lune.
E tutti quei gradini di calcare poroso
ho risalito
per medicare ogni stella, una per una,
e affiggere
sulle pareti mangiate dal libeccio
stampi di sogni e fiati
racchiusi in vetroresina,
muffiti
tra un miagolio di dire
oltre gli spini.
In cima a questo pianerottolo
di trasognati accadimenti in marmo
ho trovato anche qualche nota
che dallo spartito uscita
si è nascosta
nell’angolo più acuto
della mia
della nostra nostalgia
di paradisi azzurri e rose
bianche di novembre,
d’innocenza antiche.
D’un soffio
E
d’un soffio
mi sarai
quando la notte
berrà d’un sorso
ogni luna
e l’alba
chiusa in un barattolo
sarà
eco di voce
intempestata
sempre più lontana.
tra pruni secchi
e grinze di memoria
a feto
accartocciata.