Un secolo fa veniva pubblicata, a distanza di un anno dalla prima, la seconda parte delle Neue Gedichte (Nuove Poesie) di Rainer Maria Rilke, da cui sono tratti i due testi qui trascritti, nella traduzione di Giacomo Cacciapaglia. "Ciò che accumuna le Nuove Poesie, distinguendole dalle raccolte simultanee e successive, è la poetica dell'oggetto; vale a dire una poetica orientata verso la rivelazione delle cose (oggetti inanimati, animali o esseri umani) sottratte alla invadenza ed effusività dell'io, brulicanti di individualità, che si aprono a ventaglio nel mondo esterno, tenute insieme soltanto da un principio formale e prospettico, non da un tema o da una tendenza. (..) Da questa conversione dell'io in cosa, da questa estroversione in cui culmina l'esercizio del vedere, nasce l'opera che modella la cosa ormai emancipata dall'artefice e non più appartenente a nessuno; entrata in quela inappartenenza feconda che è il segno felice della sua necessità, autentica perchè rivelata da uno sguardo esatto. E' quasi una parola d'ordine" (dall'introduzione di G. Cacciapaglia). Una presa di distanza dall'ispirazione dimostrata anche dal fatto che questi testi sono stati scritti mesi o anni più tardi e in altro luogo, a Parigi nell'estate del 1908.
(nell'illustrazione: Palazzo Contarini, Claude Monet, 1908)
Mattino Veneziano
Finestre regalmente viziate vedono sempre
ciò che solo talvolta consente di turbarci:
la città che ogni volta ove un bagliore
di cielo incontri un senso d'acque in crescita,
senza essere mai, torna a formarsi.
Prima dovrà ogni mattino mostrarle
gli opali che portava ieri, estrarne
immagini rflesse dal canale
per ricordarle le altre volte; allora
si riconosce e di sè si rammenta
come una ninfa che ricevè Zeus.
Risuonano i pendagli alle sue orecchie;
ma lei leva alto San Giorgio Maggiore
ed alla cosa bella indolente sorride
Tardo autunno a Venezia
La città più non fluttua come un'esca
a captare ogni giorno che s'affacci;
ora al tuo sguardo i vitrei palazzi
dànno un suono più crudo. E dai giardini penzola
l'estate come marionette in mucchio,
a testa in giù, estenuate, uccise.
Ma dal fondo, da antichi scheletri di foreste,
una volontà sale, come se l'Ammiraglio
dovesse in una notte raddoppiare le galere
nell'Arsenale in veglia a incatramare
già la prossima brezza mattutina
con una flotta che a forza di remi
avanza e empiendo il giorno di palvesi
prende il gran vento, raggiante e fatale.