Victor Segalen, un
altr
o degli oggetti misteriosi (o quasi) della poesia francese dello
scorso secolo. Segalen era un giovane medico di marina che non amava il
mare, la vuota distesa d'acqua che "più si naviga, più somiglia a sé
stessa". Dopo aver studiato alla Scuola principale del Servizio di
sanità della Marina e all'Università di Bordeaux incontra Huysmans con
cui avvia una certa frequentazione e che è il primo a parlargli di Paul
Gauguin e dell'esostismo. Il suo primo imbarco, come un destino, è su
una nave che si chiama Durance e che lo porta in Oceania, fino a
Hiva-Oa, dove Gauguin è morto da appena tre mesi e dove acquista
dall'amministrazione coloniale alcuni dei suoi disegni. E' l'inizio di
un innamoramento per l'Oriente, nutrito anche delle letture di Loti e
Claudel, che lo porterà, in un susseguirsi di andirivieni con Brest,
fino in Cina. E' in Cina che matura il suo capolavoro, monumentale fin
dal titolo, Stèles, pubblicato fuori commercio
a Pechino nel 1912, in una edizione in 24 esemplari "alla cinese", un
unico foglio di carta piegato a fisarmonica, legato preziosamente con
tavolette di legno di canfora e seta. Testi-epigrafi, testi-stele, monumenti, meditazioni, ammonimenti. E' il trionfo dell'esotismo,
sebbene sia l'esotismo del tutto peculiare di Segalen: "L'esotismo che
cerca ciò che non siamo, il diverso per esplorare se stessi, ha nella
poesia e nella sua alchimia il migliore strumento di conoscenza. Il
punto che segna l'originalità e l'attualità di Segalen, nella linea
della poesia come forma di conoscenza che va da Baudelaire a Rimbaud, da
Mallarmé a Claudel, è che anche per lui il mondo sensibile è un testo
da decifrare, ma l'esito della ricerca non è di ricondurlo al mondo
dello spirito, alla trascendenza o alla sensazione epifanica e
soggettiva, bensì di spiritualizzarlo senza negarlo, premessa d'uno
stato in cui le percezioni non hanno più alcun ruolo; la soggettività è
superata nella scoperta, a specchio d'un vuoto ineffabile, del Principe
dell'Assenza, del Nome nascosto, del silenzio" (Lucia Sollazzo).
Le
stele a cui fa riferimento il titolo "erano dei montanti destinati a
facilitare l'interramento delle bare. Vi si scrivevano dei commenti a
mo' d'orazione funebre. Oggi esse sono delle lastre di pietra che recano
un'iscrizione, montate su un zoccolo e drizzate verso il cielo. Il loro
orientamento è significativo. Le stele che danno verso Sud riguardano
l'Impero e il potere, quelle verso Nord parlano d'amicizia, quelle verso
Est d'amore, le stele verso Ovest riguardano fatti militari. Piantate
lungo il cammino, esse sono indirizzate a coloro che le incontrano, al
caso delle loro peregrinazioni; le altre, puntate verso il centro, sono
quelle dell'io, del sé..."( Segalen). Il centro, il quinto dei punti
cardinali tradizionali taoisti: "come la stele segnava con la sua ombra
un momento del sole, ogni poesia segna ancora un momento, quello della
conoscenza al fondo di sé; non immortala l'azione esemplare d'un defunto
o un regno glorioso, ma la scoperta dell'unico impero che conti, quello
di se stessi" (Lucia Sollazzo). Come dice Segalen, la poesia opera "per
raggiungere l'altro punto, il quinto, l'equidistante centro / che io
sono".