Un’influenza senza angoscia: l’ombra lunga di Emilio Villa nei testi di Corrado Costa
[da un intervento al Convegno che ha avuto luogo nelle giornate del 24 e 25 novembre 2016 presso la Scuola Normale Superiore, dal titolo «I Verbovisionari.
L’ “altra avanguardia” tra sperimentazione visiva e sonora»]
Il parallelismo critico tra le figure di Corrado Costa ed Emilio Villa, oltre a poggiare su una solida amicizia personale (testimoniata dal nutrito
carteggio conservato presso l’Archivio «Emilio Villa» di Ivrea), ha prodotto un’interessante collaborazione artistico-letteraria, particolarmente operativa
tra gli anni Sessanta e Ottanta. Ricordo, sinteticamente, tra i testi più noti, ll mignottauro. Phrenodiae quinque de coitu mirabili (scritto a
quattro mani e pubblicato nel 1980) e The Flippant ball-feel (un testo di Emilio Villa composto ad accompagnamento dei tre poemi-flippers di
Corrado Costa e William Xerra, presentati alla Mostra del Mana Market, a Roma, nel 1973).
Per fornire un inquadramento generale dell’approccio di Costa ai testi villiani, occorre partire da alcune specificazioni preliminari: per quanto Villa sia
stato un referente d’elezione per il giovane poeta, Costa è riuscito ad emanciparsi piuttosto brillantemente dal modello villiano, smontandolo nelle sue
componenti fondamentali ed isolando quelle caratteristiche tecniche più utili a fondare una propria avventura sperimentale, felicemente autonoma. Per
questo motivo, si potrebbe parlare di un caso critico-clinico di «influenza senza angoscia», cercando, nel parafrasare e distorcere l’etichetta di Bloom,
di conservare intatto il valore dell’influenza, da cui Costa si svincola ma soltanto dopo aver compiuto un pedinamento serrato dei testi villiani, e
operando una scelta ragionata di prelievi stilistici cui mescolare altre sollecitazioni culturali o apporti personali. Dal canto suo, Emilio Villa ha
l’abitudine di rivolgersi a grandi modelli del passato (dai filosofi presocratici ad Artaud, da Esenin a Eliot), scansando il dialogo diretto con i poeti
contemporanei; pertanto la figura di Costa verrà accettata in veste di compagno di strada (a volte coadiutore in opere a quattro mani), ma senza che la
collaborazione lasci tracce stilistiche o suggestioni tematiche evidenti.
Soprattutto nei testi di Costa elaborati all’interno dell’arco cronologico citato all’inizio (anni sessanta-ottanta), il basso-continuo villiano si impone
come referente preferenziale e quasi “seconda voce” argomentativa nella riflessione del poeta. Se prendiamo, ad esempio, Inferno provvisorio
(uscito nel 1970), oltre a svariate allusioni e citazioni dirette sparse nel corpus testuale, troviamo un sottoparagrafo intitolato proprio «Emilio Villa»,
una sorta di digressione dedicata alla figura-chiave nel percorso di formazione del poeta:
Emilio Villa
. Tutte le tecniche dell’allusione, dell’eufemismo, della sostituzione si assommano. Fanno divenire il testo un GRANDE LAPSUS in una lingua intermedia fra
francese e italiano, che non è né l’una né l’altra, ma conserva di entrambe l’enorme bagaglio culturale, il suono latino, lo spaventoso senso del sacro!
Oltraggiando se stessa la lingua diventa l’epifania dell’Oltraggio, e qualsiasi nome si forma nel suo flusso si corrompe, si guasta, si sfregia
definitivamente. Villa, a bella posta, verifica l’oltraggio fuori dalla poesia per oltraggiare meglio la poesia: presentazioni per pittori, lettere,
telegrammi e altri pretesti. La (d)eclaration, contro la Dea Madre, è dedicata alle opere del pittore Giuseppe Desiato, che a sua volta ha combinato
fotografie di donne nude, abbronzate e bianche nei punti chiave dell’erotismo e su questi ventri, aperti come un libro, ha intercalato violentemente la
scrittura
[C. Costa, Inferno provvisorio, Feltrinelli, Milano 1970, p. 50].