La visione policroma di Donato Di Poce
Quattro opere poetiche di Donato Di Poce: La zattera delle parole
(Campanotto Editore, 2005) La stanza di Arles (CFR Edizioni, 2014) Ut pictura poesis (com press, 2016) e Rompete le righe
(Campanotto Editore, 2016). Un lungo percorso tra la parola e ogni forma
d’arte per evocare i suggestivi panorami del mondo. Nessun verso è
articolato senza l’incitamento fascinoso di suoni, giochi grammaticali e
rigore intellettuale. Il rapporto tra l’arte visiva e il linguaggio
poetico, non si disgiunge dalla consapevolezza della memoria in cui il
segno e il senso si relazionano con il tempo e il surreale. Lo studio delle
vicende umane sui dipinti segue una selezione rigida e critica che
ripristina le logiche e i frammenti autonomi da salvaguardare.
Un’operazione che prevede attenzione, lettura e ascolto dell’opera che si
ha di fronte al fine di penetrare l’aura misteriosa che la sovrasta. Le
dediche poetiche, gli aforismi, ogni verso ci rimanda a interpretazioni
dell’incontro e del distacco di luoghi e quotidiani perduti, ritrovati,
cambiati e rinnovati dalla ricomposizione visionaria dei fatti. Pagine a
tema, dall’approccio storicistico, rincorrono le attività essenziali
dell’autore che cristallizza i disagi esistenziali e la profondità delle
cose trasformando il ‘nuovo’ in una ennesima devozione. Sembra che Di Poce
oscilli tra lo slancio del divenire e l’incertezza del presente traducibile
esclusivamente attraverso la poesia. La poesia che esplode nella voce e
nell’estetica di cui si arricchisce in modo fecondo e naturale. Quindi, la
funzione della parola diventa centralità e scopo per il ritorno alle forme
ispirate direttamente dalla realtà, quasi a sentirla come metalinguaggio,
per meglio descrivere situazioni contemporanee e panorami postmoderni. La
sensibilità capta ogni suono dall’opera mettendo in contatto stretto
immagine, regole semantiche, conoscenza dei quadri cromici, luce e strati
sincronici a volta celati. (rita pacilio)