Mi fa piacere riproporre qui la nota di Viola Amarelli sul libro di Francesco Balsamo (Tre bei modi di sfruttare l'aria, Ed. Forme Libere, 2013), già apparsa sul suo blog (v. QUI). Ringrazio Giampaolo De Pietro per avermela segnalata, anche perchè mi permette di rimandare al post che pubblicai nel maggio del 2010 a proposito dell'altro bel libro di Balsamo, "Ortografia della neve" (v. QUI), che vale la pena di rileggere. Segnalo inoltre che l'autore, come è possibile vedere dalle immagini qui presenti, è anche un raffinato artista visivo.
(La luminaria delle dita, carboncino, olio e matita su carta)
La cronaca di una metamorfosi, carsica, e desiderata, sottotraccia, in un apparente minimalismo dove crepitano lampi e pensieri e lo sforzo di liberarsi di
un io già diventato corsivo, così si delinea “Tre bei modi di sfruttare l’aria” (Edizioni Forme libere, 2013) di Francesco Balsamo libro che già negli
eserghi di Ceronetti e Duncan, pone il tema del mutamento e delle forme.
Non a caso la prima sezione del libro ruota intorno a un “devo” (devo starmene tondo), che insieme all’orologio e ai miracoli, altro lemma
ricorrente, tende ad azzerare - dilatandole – le dimensioni del quotidiano con il mai di un angolo di orologio (che) libera tutti in aria
. Se questo è il punto di partenza del viaggio (e del resto, più avanti esplicitamente ciascuno in sé/ ha una strada premuta nell’abbraccio) le
tappe si snodano intorno alla sospensione dell’ascolto e alla pazienza, configurando una sorta di laici esercizi spirituali. Non che manchino gli inciampi:
i muri, ad esempio, come anche i lampi, energia repressa che pure occorre accudire, le candele e l’a picco e a piombo ritornano compulsivamente in molte delle sezioni, formalmente organizzate attorno a parole chiave che consentono all’autore di
strutturare ognuna di queste tappe come variazioni su poemetti minimi.
Lontano dall’algido - e dal tragico - ,di molta poesia contemporanea Francesco Balsamo punta sull’apertura agli oggetti e agli elementi della natura, si
tratti di radio e di dita, di nuvole e di sonno o di affetti trattenuti, celati per una rigorosa fedeltà al “sottovoce” che non gli impediscono tuttavia un
canto aperto: scuola dell’aria, mutuata tramite passeri/da tutte le province/dell’aria.
La ricerca di una levità (“cosa trascino sin dentro un muro,/noi saremo in pochi/io ci lascia), scorta e talvolta conseguita ( ci sono riuscito/adesso la testa/ è una costola dell’aria), si realizza nei colori del mondo, programmaticamente ritmati nel loro senso sonoro, e
si riassume nella poesia finale, vera e propria dichiarazione di poetica e di augurale viatico:
bisbiglio
sopra una lumaca
(è una poetica)
io
è ancora in viaggio
sottobraccio ha alberi