Mercoledì, 17 dicembre 2014
Eliot fa parte, insieme ad altri, delle mie lett ure "curative", quando il troppo è troppo e c'è la necessità di ripristinare un certo livello qualitativo, di rifarsi la bocca, di restaurare certe pietre di paragone. Insomma di fare "rehab". The hollow men, un testo del 1925, mantiene a distanza di 90 anni una drammatica attualità, anche al di là della componente mistica che certo lo innerva (l'autore si stava avviando verso la sua conversione al cattolicesimo che troverà espressione ad esempio in Mercoledì delle ceneri del 1930). Il poemetto è introdotto da due epigrafi. La prima (Mistah Kurtz—he dead, Mister Kurtz - è morto) è tratta da "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad ed è la notizia che Marlow, il protagonista, apprende da un servitore durante il ritorno dal viaggio di ricerca del misterioso Kurtz. Incidentalmente, una delle scene magistrali di "Apocalypse now" di Francis Ford Coppola (1979), che come noto trasse molta ispirazione da Conrad, è quella in cui Marlon Brando, nelle vesti del tragico colonnello Kurtz, recita proprio The hollow men, in un geniale intreccio culturale (v. QUI, in inglese) che, vale la pena di ricordare, rimanda al "riutilizzo" del serbatoio della tradizione così come lo intendeva Eliot nel suo saggio "Tradizione e talento individuale" del 1919 (v. meglio QUI). L'altra citazione (A penny for the Old Guy, un penny per il vecchio Guy) punta direttamente al secondo verso poiché fa riferimento ai fantocci impagliati che il 5 novembre tradizionalmente i bambini inglesi portano in giro chiedendo un penny, fantocci che poi saranno bruciati in ricordo della esecuzione di Guy Fawkes, che nel 1605 tentò di assassinare il re Giacomo I e i membri del Parlamento con una esplosione. Da notare, anche qui incidentalmente, che la maschera rappresentativa del personaggio Fawkes ha fatto anch'essa il suo percorso culturale fino a diventare il simbolo di movimenti di protesta contro l'ordine costituito come Anonymous o Occupy. Ma l'uomo di paglia, per Eliot, vale un penny. Gli uomini vuoti, gli uomini "impagliati" del 1925 che nel poemetto si presentano in prima persona ("noi") non si differenziano certo da quelli del terzo millennio che stiamo vivendo, non sono diversi da noi. Il vuoto, che non è solo quello esistenziale, che subiamo, ma anche quello che creiamo, spesso deliberatamente, o quando "l'ombra cade" tra il pensiero e l'azione, tra il potere e il fare, senza che noi interveniamo, è fatto di usura delle parole "secche", della loro inconsistenza, della sterilità di chi popola desolatamente ("figura senza forma, ombra senza colore, / forza paralizzata, gesto privo di moto") una "terra desolata", una "valle di stelle morenti". Gli uomini vuoti brancolano, ammassati sulla riva di un fiume che assomiglia molto a un dantesco Stige pieno di accidiosi, girano irresoluti intorno a sterili simulacri. Attraverso una serie cospicua di simboli, metafore e quei correlativi oggettivi la cui "invenzione" è tradizionalmente attribuita a Eliot e che tanta importanza hanno avuto nella poesia moderna, il poemetto si avvia al finale, estremamente moderno. La preghiera della quinta parte sembra essere un balbettio smozzicato ("Perché Tuo è / La vita è / Perché Tuo è il") che non riesce ad afferrare e coagulare quanto una voce fuori campo sembra suggerire. Non sembra che ci sia molta speranza. La chiusa è percussiva e folgorante insieme, con una estrema accusa di ignavia accidiosa che Roberto Sanesi, per quanto "whimper" possa essere tradotto restrittivamente anche come "gemito, lamento", rende lapidariamente con la parola "piagnisteo". (g.c.)
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Lunedì, 1 settembre 2008
Recupero dal mio ammasso di ritagli di giornale, con un pò di aiuto tecnologico,questo interessante articolo che Adriano Sofri ha dedicato a un particolare aspetto del poemetto eliotiano "La Terra desolata"
Adriano Sofri - La sofferenza di Eliot
L' opera poetica più importante del Novecento The Waste Land pretende i superlativi, e l' irriverente Christopher Hitchens (che obietta: quando mai si può pensare all' aprile come il mese più crudele?...) deve dichiararla «il poema più sopravvalutato del canone angloamericano». T. S. Eliot lo scrisse a Losanna, dove curava un esaurimento nervoso, nell' inverno 1921-22. Una versione italiana, curata da Angiolo Bandinelli, sostituisce alla consolidata traduzione del titolo - La terra desolata - la citazione dantesca Il paese guasto. (Inferno XIV, 94: In mezzo mar siede un paese guasto). L' ipotesi (compresa la corrispondenza e l' assonanza waste-guasto) è seducente, benché vada contro una nota di T. S. Eliot, che dichiara di aver tolto il titolo dall' opera di Jessie L. Weston sulla leggenda del Graal, From Ritual to Romance (1920). La trafila del rimando dantesco è ricostruita da Carlo Ossola, Dante nel Novecento europeo (2005): dalla Terra guasta di Giorgio Caproni (1960) al Paese guasto di Giovanni Giudici (1982), e analogamente per la versione francese La terre gaste, che era già nel Perceval di Chrétien de Troyes, antecedente dello stesso Dante. Già Renato Poggioli aveva segnalato nel 1955 il parallelo fra il Waste Land e il paese guasto, ma per concludere che, data la testimonianza di Eliot, doveva trattarsi di una mera coincidenza. Più sospettamente, una poesia intitolata Waste Land, di Madison Cawein, era uscita nel 1913 su una rivista che Eliot doveva aver visto.
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