Che questo sia il centenario della nascita di Sandro Penna, celebrato in molte occasioni, ha un'importanza relativa. E' solo una maniera di ricordare, ma forse sarebbe piu' opportuno ricordare le opere, e qui c'e' solo l'imbarazzo della scelta, "Una strana gioia di vivere", 1956, oppure "Stranezze", 1976, che e' anche l'anno, se proprio abbiamo bisogno di un anniversario, della sua morte. Sandro Penna e' stato un grande outsider ("un vigoroso outsider", e' stato definito), che ha posto non pochi problemi di identificazione alla critica, ed e' diventato un classico e quindi parte di quelle radici culturali da cui non possiamo prescindere. Di lui si e' detto tutto o quasi, spesso a ragione, altre volte perdendo di vista la luna per guardare il dito (come l'omosessualita', tanto per intenderci). Si e' parlato di lui come di un poeta fuori dalla storia, fortemente epigrammatico, una poesia fatta di frammenti non strutturalmente legati (e infatti i suoi libri sono costruiti come una serie a-cronologica di testi). Si e' detto del suo infinito reiterare dei moduli stilistici e delle tematiche, sorretto da un linguaggio sorprendentemente compatto e monolitico, che sembrava denotare un disinteresse verso qualsiasi evoluzione, in un tempo fermo, rivolto verso il ricordo, la sua sublimazione, il quotidiano passato. Si e' detto di un poeta decentrato, al di fuori delle correnti letterarie, e anche in questo astorico, e semmai ascrivibile per alcuni a un tempo lontano, quello dei lirici greci. Ma anche direi poeta cristallino, non solo stilisticamente e linguisticamente trasparente e quindi eticamente alto, ma anche in senso quasi chimico, di struttura con forti legami molecolari, perfetta e inscalfibile, e percio' in qualche modo immutabile e uguale a se' stessa. E' questa immutabilita' senza storia che ne fa una poesia direi sapienziale, come gia' aveva notato Garboli, quasi un unico Libro (tutti i grandi scrittori scrivono "un" libro) che con animo sereno possiamo aprire a caso, per destino, e aspettare che parli. Perche' qualsiasi cosa si dica, nell'esercizio della critica, poi alla fine bisogna sospendere il giudizio e semplicemente ascoltare la musica, godere i colori e le emozioni, cercando magari di capire che tipo di legato Penna ha lasciato a tutti noi, che in qualche modo vogliamo continuare a fare poesia.
Muovonsi opachi coi lucenti secchi
gli uomini calmi in mezzo agli orti. Il rosso
dei pomodori sta segreto e acceso
nel verde come un cuore. Ma lontano
il mare con le sue luci d'argento,
che sono le campane del mattino,
chiama alla pesca gli uomini che il vino
del ritorno sognavano fra il lento
ondeggiar delle barche, ridestate
quali uccelli sul ramo. L'altalena
ferma nel buio della villa aspetta
il giorno. E il giorno accordera' le varie
e rumorose colazioni. Io resto
fra tanta luce e battere di panni.
Tre rape mezza mela ed una triste
macchina di cucina vecchia d'anni
sonnecchiano su un tavolo non viste.
Laggiu', dove una storia
personale nel sole,
mi parve un superiore
giuoco di dadi...
oggi una vacca senza storia annusa
la nera terra un po' fumante, chiusa
tra i filamenti della pioggia, radi
ma certi fili della memoria.
Non c'e' piu' quella grazia fulminante
ma il soffio di qualcosa che verra'.