Venerdì, 17 ottobre 2008
Roberto Ceccarini mi ha chiesto di leggere, per la sua rubrica "Progetto lettura" su "Oboe sommerso", un testo di Francesco Marotta, "Lettera da Praga", tratto da "Hairesis", un ebook pubblicato a suo tempo da Biagio Cepollaro. E' una cosa che ho fatto con grande piacere, la trovate qui. Colgo l'occasione per pubblicare una nota a margine su questo poemetto di Marotta.
Se non c'è memoria diretta (per ragioni anagrafiche o per semplice fortuna) della tragedia e della orrenda banalità del male di arendtiana memoria, c'è almeno, nella sensibilità dell'artista, "intuizione", nel senso pieno, anzi etimologico del termine. Questa intuizione, o empatia nei confronti delle vittime, di quegli uomini sulla cui "entità" Primo Levi si interrogava, non è forse una delle missioni del poeta, ed insieme uno degli strumenti principi di questa missione? Ed egli, con la sua capacità di ricreare la lingua e con essa il dire e il raccontare, non svolge con questo un'azione eminentemente politica, affondando le proprie radici nella storia? Dico queste cose pensando proprio al testo di Francesco Marotta, più o meno come le pensavo, con qualche distinguo, quando leggevo "Giorni manomessi" di Roberto Ceccarini. Anche qui c'è innanzitutto l'accettazione di una eredità, di un legato, come potremmo dire in termini giuridici, l'accoglimento di una discendenza o di elementi biografici forti che la sensibilità di uomo e artista non può disconoscere, anche se si guardi la Storia da un limes, da una soglia, come osservava S.Aglieco parlando di "Per soglie di increato". Da questi elementi e dal loro recupero o restauro è poi possibile innalzare lo sguardo con animo consapevole - e appunto empatico - alla storia, piccola o grande che sia. Incidentalmente, dal punto di vista della poesia la Storia, anche quella che scorre ora nelle nostre vite, non è affatto finita, con buona pace di alcuni pensatori (e anche di molti poeti). Ma stavo dicendo: dal dato biografico o dalla memoria indiretta o da quella che ho chiamato intuizione, il poeta innesca dinamicamente un rapporto con riflessioni più universali, dal dettaglio anche liricamente intimo e domestico alla visione di insieme della tragedia, in altre parole (e questo è il prodotto artistico) egli universalizza per noi il suo legato e ce ne rende partecipi. Mi viene in mente ora che avevo già espresso questo mio avviso, almeno indirettamente, quando mi fu posta la domanda principe "che cosa è la poesia?". Nessuno lo sa, e tuttavia nessun poeta rinuncia al tentativo di dire la sua. Risposi (scusate se mi cito): "è anche vero (...) che è memoria e immaginazione. Cioè realtà e invenzione, tradizione e tradimento, in altre parole contaminazione e meticciato della nostra stessa storia. Con memoria e immaginazione torniamo alle radici stesse della poesia (...). Mi piace pensare, pur con tutte le distinzioni del caso, che anche la poesia attuale, che pure non ha niente di epico anzi è fondamentalmente poesia di crisi e ripiegamento, debba poggiare su questo binomio o binario, che è anche piedi, cioè radicamento nella realtà e nel vissuto, e testa, ideazione, ingegno, artigianato, linguaggio capace di creare l'immagine (ecco l'immaginazione, letteralmente) che estende la percezione di qualcosa che da privato (del poeta) diventa condivisibile ma non ovvio, anzi disvelante. A voler essere radicali potremmo dire che la poesia è così, o non è. E allora faremmo meglio a lasciarla nel cassetto". Credo che il testo di Marotta sia un bell'esempio, etico e poetico, di questo. Pur lamentando "il naufragio della storia", compie la scelta (hairesis, il titolo del libro, "fare la scelta", fino all'eresia) di dare voce anche a quei "giorni infiniti / mai nati", non dimenticarne la linfa, combattere "la deriva degli anni", rinnovare "franate memorie sottovetro" di quei bambini sul cui corpo, "inesplorato degli anni / dove non sarebbero stati", la Storia ha infierito.
Martedì, 21 novembre 2006
L'ottimo Roberto Ceccarini, aka Redmaltese, continua sul suo blog l'interessante esperimento di jukebox poetico, testi di vari autori, corredati da files audio con la voce di attori o degli autori stessi, come Anedda, Guglielmin, Fabbri e alcuni "storici" come Pavese, Majorino, Pozzi, Erba. Tra i quali, per la gentilezza di Roberto, ora figuro anch'io. Potete leggere e ascoltare qui, se volete.
Non sarebbe impropro definire questa iniziativa di Ceccarini come un reading telematico, con un pubblico invisibile ma ancora piu' attivo di quello reale, se appena ha la compiacenza di lasciare un commento che sia qualcosa di piu' di un applauso o un fischio. Qui, come altrove, anche sulla pagina scritta, la poesia e' mutevole, una delle sue mille caratteristiche. Non e' mai uguale a se' stessa, neanche per lo stesso autore. Ogni volta che leggo una mia poesia, devo respingere la tentazione di cambiare qualcosa, magari una virgola (non marginale, con quello che significa in termini di ritmo), e comunque mi ritrovo a "pensarla", a recitarla con la mia voce interna, ogni volta in una maniera diversa. Penso succeda a tutti. E se succede a me, di vivere questa perplessita', immagino quale sia quella di un interprete dotato di sensibilita' testuale, che deve capire che diavolo intendeva l'autore, se c'e' dell'ironia nascosta, se un enjambement pretende uno "staccato" o una legatura e cosi' via. Bene, registrando la mia voce avevo gli stessi dubbi, tanto da credere quasi nel mito romantico della poesia dotata di vita propria. Ma piu' probabilmente era il respiro, anch'esso mai uguale a se' stesso, oppure, altra ragione assai plausibile, un tot di vanita' messa in questo nuovo modo di "pubblicarsi". In questa mutevolezza, quindi, ognuno ci mette del suo, chi scrive, chi riscrive, chi legge, chi interpreta. Insisto sul concetto di mutevolezza perche' la poesia non e' ambigua e nemmeno, in fin dei conti, enigmatica, quando riesce a trovare un canale di comunicazione aperto con chi legge o ascolta, cioe' quando diventa "usabile". Perche' sostanzialmente la poesia e' un linguaggio precipuo, polisemico, densamente connotativo. O forse perche' piu' che mutevole essa e', come direbbe Heisenberg, indeterminata, forse l'oggetto artistico che piu' risente della contaminazione dell'osservatore, del fruitore comunque definito, che la cambia nel momento stesso in cui la accosta. In questo senso sono d'accordo con chi parla della poesia come "esperienza" da vivere, da accogliere, anche quando la si debba affrontare con il cipiglio del critico.
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