Lunedì, 26 ottobre 2015
Alcuni testi tratti da Les champs magné tiques,
l'opera scritta a quattro mani da André Breton e Philippe Soupault,
febbrilmente, a volte per otto o dieci ore al giorno, in circa otto
giorni tra il maggio e il giugno del 1919 e pubblicata l'anno seguente.
Appartengono alla parte "versificata" del libro, in gran parte composto
da brani in prosa, secondo una procedura di "scrittura automatica" che i
due avevano immaginato fin dal 1918, quando, ancora coscritti,
montavano la guardia di notte all'ospedale militare a cui erano
assegnati e passavano il tempo leggendo a vicenda a voce alta i Canti di Maldoror di Lautréamont/Ducasse, che sarà poi considerato come precursore del surrealismo.
Libro di rottura, sotto molti aspetti, di una
"gioventù sacrificata" uscita dalla guerra con non poco disorientamento.
"Giro per delle ore intorno al tavolo della mia camera d'albergo",
scrive Breton negli Entretiens, "cammino senza scopo per
Parigi, passo le serate da solo su una panchina della piazza dello
Chatelet", in una indifferenza a cui non erano estranei che pochi amici,
tra cui Soupault, a cui Breton riconosceva una certa "gratuità"
nell'esercizio del pensiero. "Tra tutti i miei amici di allora mi pareva
essere quello meno contaminato dalla preoccupazione di un rigore
apparente, del tutto inconciliabile con il rigore reale che avevo la
volontà di instaurare". Una volontà di rigore che era prima di tutto di
natura sperimentale, come nota Philippe Audoin nella prefazione
all'edizione Gallimard. Era l'idea di un tentativo, come scrive Breton
nel Manifesto, di "ottenere da me stesso (...) un monologo di
un flusso più rapido possibile, su cui lo spirito critico del soggetto
non consenta di portare alcun giudizio, che non si ingombri, di
conseguenza, di alcuna reticenza, e che sia il più esattamente
possibile, il pensiero parlato". E' ciò che Breton chiama poi la scrittura automatica,
una scoperta accolta con l'entusiasmo (scriverà Breton nel commento del
1930 al testo) "di chi ha appena portato alla luce un filone prezioso",
entusiasmo che tuttavia non impedisce agli stessi autori di notare (con
"qualche fastidio") come si ottengano da questa scrittura "osservazioni
di una grande portata ma che si coordineranno e giungeranno ad una
conclusione soltanto in seguito". E' forse il riconoscimento di un
limite e può darsi di una volatilità, però non del tutto inopportuni, se
(scrive ancora Breton nel commento) "gli autori sognavano, o almeno
fingevano di sognare, di scomparire senza lasciare tracce". Tuttavia Les champs
rimangono un testo fondamentale, pure laddove possano apparire ostici o
addirittura manierati, anche se solo si considera il periodo storico e
culturale, già ricco di fermenti a cominciare dall'eredità che avevano
lasciato Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud e Verlaine e con l'irruzione
sulla scena di Freud e della psicoanalisi a cui certo la scrittura
automatica si collega. Quello che gli autori cercano è infatti "un
prodotto grezzo, l'espressione immediata di una realtà almeno
psicologica, se non spirituale, che viene opposta agli artifici dei
facitori di versi, foss'anche di versi liberi" (Audoin), e in questo
certo c'è in parte anche il lavoro di Mallarmé sulla depurazione del
linguaggio dalla sua mera funzione strumentale e comunicativa. E' la
ricerca di una voce selvaggia capace di dire di una realtà nel sogno,
nell'assurdo, nello stesso linguaggio, in cui l'io stesso,
confrontandosi con qualcosa di più profondo, viene messo in discussione.
E' il surreale, o l'immaginario, o il meraviglioso, in definitiva,
secondo Breton, tutto "ciò che tende a diventare reale". (g.c.)
(Nell'illustrazione gli autori in due disegni di Francis Picabia (1920) - clicca sull'immagine per ingrandire)
Continua a leggere ""
Mercoledì, 25 febbraio 2009
Un autore ancora poco noto e ancor meno tradotto in maniera sistematica in italiano, qui nella versione del poeta Valerio Magrelli.
«Non so cosa sarei diventato, se non avessi conosciuto la poesia. Le ho dedicato la vita. Questa parola, poesia, che per qualcuno è solo causa di fraintendimenti, per me rappresenta un mondo in cui posso finalmente capire perché sono nato. Una parola, un barlume, un suono: ecco quanto basta per ritrovarmi in un universo che mi appartiene, a cui appartengo e con cui, se mi è consentito dirlo, faccio corpo.» Così, e altre volte similmente, Philippe Soupault sottolinea la necessità di sapersi attraverso la poesia, di affermare la naturale disposizione a «sentire poeticamente» il mondo, al di fuori della «quotidianità» che stempera il gusto di cogliere le seduzioni infinite e infinitesime dell'esistenza. (...) Protagonista dell'«Azione Dada» («Il solo a non averne disperato», secondo André Breton), Soupault è tra i promotori dell'attività del Gruppo Surrealista. Breton ne precisa il contributo: «Con un senso acuto del moderno, tale da propiziare il totale affrancamento sia dei modi di pensare che dei modi di dire convenzionali, al fine di promuovere modi di sentire e di dire specificamente nuovi e la cui ricerca implica, per definizione, il massimo di avventura». Con Breton e Aragon fonda, nel '19, la rivista «Littérature» che nell'ottobre dello stesso anno pubblica alcuni frammenti di Les Champs Magnétiques. L'opera, scritta in collaborazione con Breton, inaugura praticamente la stagione della «scrittura automatica». Legato a Breton anche da «La speranza della rivoluzione russa, la disperazione, l'amicizia di Apollinaire, il fascino esercitato da Rimbaud e la scoperta di Lautréamont», Soupault mantiene comunque un proprio specifico e, pur continuando a firmare (fino al'25) la maggior parte dei manifesti surrealisti, matura il progressivo distacco che causa la « scomunica» di Breton (nel '26) e l'attacco contenuto nel Secondo Manifesto del Surrealismo, in cui viene definito «infamia totale». Soupault continua però a sentirsi surrealista, in quanto il surrealismo rimane anche e soprattutto modo di vivere. Nell'agosto del '74 conferma in una intervista: «Credo che dopo Les Champs Magnétiques non avrei potuto smettere di essere surrealista. Ero stato definitivamente segnato da quella esperienza. Non sì è smesso di codificare quella che era una tappa nella scoperta di una possibilità di "cambiare la vita", ma per me il surrealismo non è mai stato una scuola, un movimento o una chiesa. Dopo il primo libro surrealista ho continuato a considerare la poesia come una liberazione che ho sempre desiderato prolungare». (...) Con elegante immediatezza, Soupault riesce sorgente-ricevente, cartina di tornasole delle costanti dinamiche ed eterne dell'esistenza. «Senza retorica» scrive Marcel Raymond «una poesia senza ornamenti; e anche questo surrealismo, dov'è se non nello sforzo di percepire, ai confini dello spirito, il volto della vita?» Un volto che sovente si cela nei chiaroscuri della notte, nei lampioni che tratteggiano appena il buio, nell'incertezza che s'insinua nelle consuetudini e ne setaccia l'incolore succedersi, nel mistero che sfratta le abitudini, cassa di risonanza che non moltiplica effetti bensì presenze. Non vale più la logica solita, nella notte. Difatti la poesìa che la «ausculta», poiché riesce «il reale assoluto» (Novalis), poiché testimonia una chiaroveggenza permeabile, non ne serba traccia. Nella notte scocca l'insolito: riprendendo una mai smarrita attitudine, Soupault si fa allora esploratore dell'insolito, di cui la poesia è il «diario di viaggio ». Dalla consapevolezza dì praticare situazioni non conformi alle esigenze imprescindibili dell'uomo, nasce l'urgenza di rintracciare un altrove: non asilo confortevole e insipido ma spazio vitalizzante, da intuire e schiudere per tutti. Se la poesia, come del resto qualsivoglia espressione artìstica, ha il compito di far sentire che la sorte dell'individuo, magari stabilita a priori, tuttavia consiste grazie alle passioni, alla fantasia e all'immaginazione, allora l'angoscia esistenziale, l'agguato della morte e l'impalpabile incalzare del tempo, attraverso la sua voce non rimangono scacchi inesorabili. La poesia suggerisce proprio simili riscatti: quale faro puntato sul nulla, ne plasma l'indefinibile trasparenza architettando occasioni a immagine e somiglianzà dell'uomo che «la fa» e di chi, leggendola, «la rifa». Per Philippe Soupault si tratta di un imperativo ineludibile. (...) [nota di Ferdinando Albertazzi]
AVANT-DIRE
Penche-toi
et perce la lisse surface
Oranges
bleus
gris
vermillons
glissent et nagent
mes poèmes
Tout autour de ma pensée
virevoltent
les poissons verts
PREMESSA
Chìnati
e buca la superficie liscia
Arancioni
azzurre
grigie
vermiglie
scorrono e nuotano
le mie poesie
Tutt'intorno al mio pensiero
volteggiano
i pesci verdi
Continua a leggere "Philippe Soupault. sei poesie surrealiste"
|