Su Poesia 2.0 continuano gli interventi di vari autori sulla "buona poesia" (v. QUI). Ho pensato di scrivere anch'io due note, anche allo scopo di chiarire qualche punto a me stesso.
La buona poesia
L'altro giorno mi è arrivato in casella un comunicato stampa di una
lettura pubblica, uno dei tanti che ricevo. Il condizionamento che
scatta di solito in questi casi è quello che mi fa muovere il dito verso
il tasto CANC. Poi chissà per quale ragione ci ho
ripensato, ho letto la poesia che vi era contenuta, la breve nota
biografica dell'autrice che informava che la medesima era la vincitrice
del premio Taldeitali 2011. Che non è il Montale né il Montano ma
nemmeno quello della Associazione del Verso Sbilenco. Insomma non
proprio un premio scalcinato.
Ora, sappiamo benissimo che una rondine non fa primavera e nemmeno fa
inverno un'oca lombardella che vola verso sud. Ma quell'unica poesia lì
in cima al comunicato stampa era proprio brutta. Certo, poteva rimanere
il dubbio che il resto del corpus poetico della autrice fosse di
straordinario valore, ma il fatto che quel testo fosse stato scelto,
forse dalla stessa poetessa, per campeggiare nel volantino lo rendeva
emblematico, anzi esemplare. E, a sua insaputa, esemplare del fatto di
essere brutto. O se preferite cattivo.
Per me, intanto (e l'ho detto altre volte), una poesia è brutta quando
lascia il tempo che trova, come il libeccio. Quando si disperde in un
istante nel rumore di fondo dell'impoetico, o se vogliamo del "poetico"
indifferenziato (sì, come la spazzatura) fatto di slogan pubblicitari,
di jingles, di accostamenti consunti, di associazioni d'idee, di
semplice esibizione di sentimenti che sono tanto belli quanto (si spera)
già noti a tutti. Quando si perde di vista, tra i tanti, il rischio di
una lingua meramente denotativa, che diventa pura descrizione e tracima
nei versi con parole, simboli, metafore, strutture così tante volte
usate da essere diventate oggetti enumerabili. Di converso,
come avvertiva in una delle sue "scuole di poesia" Massimo Sannelli,
“stiamo attenti a non dilagare in immagini troppo personali; forse siamo
gli unici a considerarle belle, e per gli altri potrebbero essere
semplicemente enfatiche o incomprensibili”. E aggiungeva che è inutile
mettere cuore nella propria opera se poi il poeta non "prende distanza
dalla sua materia, e (...) più se ne distanzia più la fa sua e la rende
infuocata”.