Venerdì, 22 febbraio 2008
Rilancio qui un post di Marco Giovenale dal titolo "Qualche connotato del brutto", apparso il 10 febbraio scorso su Slow Forward, con qualche annotazione. Spero che a Marco non dispiaccia.
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arriva la segnalazione di un lungo testo (di autore italiano neanche giovanissimo) uscito ora in rete. si va a leggere - ed ecco: iterazioni (imbarazzanti) legate ad ambiguitas trita, inversioni a dozzine (”nel deposito arrivano”, “di un bambino il vero”, “perduto luogo”), aggettivazione lussureggiante, immagini veterosurrealiste a bassissima temperatura, io lirico legato a passato remoto, formule fisse (”nessuno vede”, “glorioso passato”, “bellezza sfiorita”), l’impersonale onnipresente nel “si” squartato (”s’apre”, “s’arrende”), vocabolario di cento parole, errori di ortografia, corsivi inopportuni, il “come” sostituito dal “quale” e magari accoppiato a inversione (”agisce quale aspro vino”: e via una citazione), uso di iperboli pacchiane a sostituire espressioni giudicate (a torto o a ragione) scontate. è poi evidente che all’origine dei testi stanno occasioni molto banali, ben semplici. vi viene sovrapposta una griglia formale grezza e vagamente retorica.
queste poche righe non sono scritte senza dispiacere. soprattutto perché qui si constata che:
siti e riviste accolgono colpevolmente i testi poetici senza suggerire nemmeno una traccia di editing. passi per chi sbaglia in prima persona e gioca le proprie carte sul proprio blog. ma una redazione che non si assume il compito di dialogare con gli autori che interpella, entrando anche in conflitto su alcune scelte testuali, è la conferma di uno stato di fatto (pessimo): assenza assoluta di critica, e soprattutto di trasmissione della critica. è un compito che le redazioni hanno sempre avuto, fin qui. e a cui stanno rinunciando, sembra.
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Riprendo questo post per diverse ragioni. Una è che si tratta di un modo di interloquire alla distanza con M.G. che, come noto, non ammette repliche o commenti sul suo blog, scelta peraltro che mi sembra di tempo in tempo sempre più condivisibile. Un'altra è che, come diceva una vecchia pubblicità, due è meglio che uno, e questo post contiene concetti che è bene ribadire e chiama in causa la nostra presenza sulla rete. Co-incidentalmente, proprio in questi giorni, pur aderendo a una iniziativa collettiva, ho rinunciato a rilanciare in questo spazio alcuni testi che, pur con tutta la buona volontà, non potevano essere pubblicati. Questi testi poi sono apparsi altrove. Dico subito che il mio è stato un giudizio estetico e per ciò stesso non dirimente perchè dei gusti non è dato discutere, ma decisamente di sbarramento. Ma dico anche che non ho certo la presunzione di aver fatto una non-scelta di qualche pregio, proprio per le ragioni che adduce Giovenale. Ovvero: ho creduto di rilevare il brutto, ma poi l'ho rimosso, non esponendo le ragioni critiche della rinuncia a pubblicare. Per quanto un blog non sia e non possa essere una casa editrice, io credo che il problema sia comunque presente, se il blog non è totalmente autoreferenziale, e che un esercizio della critica, in piccole o grandi proporzioni, sia sempre necessario, perfino tra amici. Il brutto (ma anche il mediocre che secondo Croce è moralmente peggiore del brutto perchè più insidioso, in termini di evidenza - cioè in medio non stat virtus) non è un concetto astratto, sebbene sia fluttuante nel tempo. Giovenale ne dà qualche breve connotato, è vero, ma legandolo correttamente a una griglia di riferimento stilistica e concettuale, e anche all'idea che se non fai critica non la trasmetti, non cresci. Credo che sia, in un ambito "suscettibile" come quello della poesia, l'unico approccio metodologico valido. Se poi qualcuno se la prende, pazienza...
Giovedì, 13 settembre 2007
La Gru, mi dice l'amico Davide Nota, rinasce. Ne sono felice, meglio una rivista in più che una in meno, in questa palude che lui stesso e i suoi compagni denunciano. Una rivista con un programma impegnativo e con riferimenti culturali da far tremare i polsi, da Gramsci a Pasolini, da La Voce a Officina. Non so se La Gru corrisponda a quella linea locale, marchigiana o meno, di cui abbiamo già parlato con Davide su questo blog, ma spero vivamente (e ho ragione di credere) che corrisponda ad una linea editoriale. L'elenco dei redattori e dei collaboratori mi sembra offra ampie garanzie. La seguiremo con attenzione.
Ne approfitto per qualche piccola considerazione su nascita morte e risurrezione al tempo della rete.
Che ci sia un'araba fenice (che invece è una gru) risorgente dalla proprie ceneri è un fatto positivo, tanto più che le ceneri, da quel che è dato capire, erano più di tipo per così dire ambientale che ideologico e programmatico e culturale (e basta leggere sia la raccolta dei numeri usciti fino alla sospensione, sia l'antologia "Scorie contemporanee" per farsene una consistente idea)
La rete (è di questa che si parla) è un ambiente mutevole. Me ne accorgo quando faccio una revisione dei miei link. Ci sono anche sparizioni, più o meno dichiarate. Ciminiera, ad esempio, di Davoli, Del Sarto e altri, che pure aveva una sua poetica (trovo ancora interessante e niente affatto superato, ad esempio, un articolo/editoriale - se volete lo trovate qui - in cui si sosteneva la ricerca di un io non passivamente lirico, che parte dal vissuto e dall'esperienza per rivelare un senso del mondo più universale e quindi di tutti). Oppure Scritti inediti, sito davvero ben fatto, che dopo sei anni di attività, si è congedato con un malinconico "arrivederci ragazzi", e non sappiamo se questo arrivederci è l'annuncio di una nuova fenice. O anche Pseudolo, attento a linguaggi anche non verbali o di confine (l'ultimo "numero" era dedicato all'osceno), che dopo due anni di inattività non esiste più nemmeno come pagina fantasma. Oppure ancora L'Attenzione, iniziativa con una proposta forte e ideologicamente connotata nata intorno a un nucleo di poeti e intellettuali di rilievo, che ritiene di doversi dare, come nelle relazioni amorose, una pausa di riflessione a tempo, per ora, indeterminato. Ci sono poi blog che chiudono i battenti o chiudono i commenti, con scelte che vanno da "io non ritengo di dovermi più esprimere in questa forma" a "io mi esprimo, dico la mia, e non mi interessa il dibattito o la vostra opinione", con tutte le sfumature intermedie. Il che potrebbe testimoniare a favore della non necessità della critica, ma anche di un ripiegamento verso aree sempre più private del fare cultura, oppure ancora del bisogno di una "sospensione del flusso. o di (altre, e intermittenti) scritture, laterali rispetto al flusso" (M.Giovenale, v. qui)
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