Un'altra opera prima di un giovane, Marco Bini (Conoscenza del vento,
Giuliano Ladolfi Editore). Se c'è un interesse particolare nelle opere
prime (specie se di un giovane) è vedere (e l'ho già detto altrove)
se qualcosa si sta muovendo, e in che direzione. Se sono insomma
speranzose e fertili. Precisando però che credo che la poesia "giovane"
non sia una categoria critica né estetica, e che pertanto non goda di
nessun diritto - per così dire - di prelazione.
Bini, dice Emilio Rentocchini nella breve
prefazione - è un poeta "che non teme la forza della tradizione né il
suo respiro in apparenza desueto e ingiallente". Se la raccolta parte
dal sogno o dalla fantasia esercitata su di un atlante regalato dal
padre, dove è possibile "scoprire persino / una Germania in più del
necessario", poi il libro vira verso altre constatazioni del mondo, che
la conoscenza del vento non basta a navigare, che la lingua non basta a
descrivere, mondo in cui (ancora Rentocchini) "l'onere della vita
costringe al provvisorio, 'tra casa e calvario' , nella precarietà
del pendolarismo: immagine di una condizione esistenziale..." Ecco
quindi che "la raccolta, persa quasi subito l'atmosfera di sogno, si
inabissa nella fuga circolare di un orizzonte di provincia...La poesia
si presenta come epifania e unica scaturigine di senso, anche quando è
una foglia morta che cade o un'impronta sulla neve". Forse non è molto.
Non ho da aggiungere o confutare niente rispetto a quanto dice
Rentocchini, ci mancherebbe. Dico solo che se si accostano i due indizi,
quello della "sicurezza" (anche se da prendere con cautela) della
tradizione come un porto sicuro di cui smuovere un pò le acque, e
l'altro della "insicurezza" del provvisorio (peraltro così
drammaticamente giovanile, una precarietà che lo sappiamo è più sociale
che poetica) si ottiene una poesia della rassegnazione. E' questo che
dispiace di un giovane, non certo il fatto che, al di là di una sua abilità linguistica o stile, abbia da maturare o
altro. Lasciatela - semmai - a noi anzianotti la poesia della
rassegnazione. O comunque a chi crede, per filosofia o ideologia, che
la disillusione condita con un pò di nichilismo sia una delle forme più
alte di realismo, o di intelligenza.
E ancora: che epifania può esserci nella osservazione di una
superficie del mondo che non sia - al contempo- più mondi, o di un
territorio che non sia anche, insieme, diversi e più variegati
territori? Ci sono altri paesaggi che - anche metaforicamente - non
siano urbani, nella poesia giovane? Ci sono, per usare una parola di
Rentocchini, altri orizzonti?