Lunedì, 21 marzo 2011

La piccola antologia di Luciano Erba che avevo presentato (v. qui) in occasione della sua morte è stata ripresa e tradotta in francese da Gérard Cartier, con la collaborazione di Elena Luchetti, e pubblicata in parte sulla rivista on line "Secousse" (v. qui) e in parte su "Poezibao", il più importante sito di poesia d'oltralpe (v, qui). Direi che l'attenzione dei francesi verso la poesia italiana (per la verità più per quella di un novecento canonico che per quella più attuale) è sempre costante e attenta, come testimonia ad esempio Bernard Simeone, primo traduttore di Erba e del suo "Ippopotamo" (v. qui), o Philippe di Meo, traduttore tra gli altri di Cattafi (v. qui) e di Zanzotto (v. qui). Ringrazio Gérard per la sua attenzione e per lo scambio di corrispondenza che abbiamo avuto, sperando di poter collaborare ancora con lui in futuro.
Venerdì, 13 agosto 2010
Statisticamente, almeno stando a quanto apparso su Poecast l'aggregatore poetico di Vincenzo Della Mea, i coccodrilli poetici di Luciano Erba, scomparso il 3 agosto scorso, sono stati tre. Coccodrilli in senso lato perchè nessuno dei tre compiange o santifica, o include o esclude Erba in una qualche corrente o temperie. Che ci si ricordi dei poeti solo quando muoiono è un fatto e non una colpa imputabile a qualcuno. La colpa è semmai di scordarcene quando sono ancora vivi, non riuscendo ad attribuire ai dimenticati nemmeno un valore di tradizione da far saltare allegramente. Si può dire che Luciano Erba non appartenesse nemmeno alla tradizione, almeno a quella italiana, forse per via della sua intensa frequentazione di traduttore e studioso della letteratura francese. Era semplicemente quello che si definisce, con un frusto luogo comune, un poeta, o meglio un intellettuale (nel senso che Eco ritorna a dare al termine), appartato. Secondo Marco Forti, "a differenza di molti coetanei più vocati alla sperimentazione - da Pasolini a Zanzotto, all'ultimo Giudici - Erba al massimo travolge la realtà piccolo borghese e vetero cattolica in cui è condannato a vivere, col fervore quasi settecentesco dell'immaginazione, della fantasia che vola a mezz'aria". Guido Guglielmi e Elio Pagliarani, invece, nel loro da tempo introvabile "Manuale di poesia sperimentale" (Mondadori, 1966), tentano di ascrivere Erba a una "poetica dell'espressione" (cioè una poetica dei valori linguistici piuttosto che degli elementi semantici della lingua) contrapposta o comunque distanziata da quella della comunicazione, cioè dei significanti e dei significati. Eppure anche rispetto a questa poetica Erba è periferico: secondo P.V. Mengaldo, Erba assume "questa posizione di erede disimpegnato di un linguaggio in via di esaurimento che sta all'origine del dono maggiore di questo poeta, un'eleganza naturale e noncalente, ottenuta senza alcun apparente lenocinio formale e per pura evidenza visiva, quasi da decalcomania, delle immagini. Press'a poco come il coetaneo e conterraneo Risi, Erba utilizza in direzione realistico-gnomica il filone seccamente epigrammatrico dell'ermetismo (specie Sinisgalli, del resto influente su tutti i lombardi), seriando le immagini in piccoli racconti essenziali". A mio avviso secondario poi che lo si accosti a Prévert, per quanto "filologo e lombardo" (Anceschi) o a un semplice tardo epigono del montalismo di quegli anni.
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