Scelta, ammetto, parziale e che non può rendere conto della vasta gamma esp
ressiva, di modi e di mezzi, di Adriano Spatola. Parziale e in parte acritica, se volete, proprio perchè dettata da quella "preferenza" che è diritto del semplice lettore, come in questo caso. Alfiere della poesia "totale" intesa in tutte le sue forme e oltre, della poesia in altre parole semplicemente totalmente "vissuta" come arte e mestiere in senso quasi rinascimentale, Spatola ha percorso tutti o quasi i media che avesse all'epoca a portata di mano, scrittura, poesia visiva, sonora, performance, contaminazioni e incroci con la musica, collages di parole, voce recitante, e affascina l'idea, come mi diceva pochi giorni fa un amico, di quello che avrebbe potuto fare con mezzi come il web, il virtuale e la multimedialità che tutti hanno oggi a disposizione senza magari sapere che farne. Certo molti lavori, analogamente a molte espressioni dell'arte moderna d'avanguardia e sperimentale, sono difficili da proteggere e salvare, proprio per la loro intrinseca "volatilità", ma anche perchè, come notava qualcuno, non si è mai formato un lettore "nuovo" quanto la nuova poesia. Ma forse sono proprio questi lavori che più dimostrano, a mio avviso, la convinzione di Spatola di una poesia capace di trascendere sè stessa, di liberarsi di certi codici linguistici e comunicativi. Eppure anche nella poesia scritta, come questi testi tratti da "Diversi accorgimenti" (che tuttavia andrebbero almeno letti a voce alta, recitati, urlati), ce n'è abbastanza di Spatola del suo pensare e ripensare, anche ritornando sui suoi passi, la poesia. Dice Luciano Anceschi di essi: "Tutte le esperienze fatte, dalle prime e giovanili post-ermetiche, al parasurrealismo, alla nuova avanguardia, alla visual poetry...sono come sedimentate, e messe tra parentesi, se non proprio rimosse. E una poesia fatta per esorcizzare la disperazione della poesia sta prendendo figura e corpo in un tentativo non involutivo di ricostruzione, di ritrovamento, di rinnovazione delle strutture. (...) Adriano ha avuto la forza di ricominciare nel deserto, di ritrovare gli elementi costitutivi o semplici di un discorso attivo, e ha ridato fiato a strumenti delicati che sembravano costretti per sempre al museo. (...) Rinasce liberamente la sintassi, si rinnovano alle radici i processi d'associazione: la realtà si è fatta diversa, con un nuovo, laico, aperto, non concluso mistero; e così la poesia ritrova, alla fine, sè stessa in un senso non consueto, e con fertilissima estraniazione rinasce come dalle ceneri, e scopre una segreta, indiretta, non pacifica, e non usata possibilità di messaggio". Anceschi coglie perfettamente il senso di questi testi. In altre parole coglie la capacità del vero poeta di riconsiderare senza sosta il proprio lavoro, di creare una sua propria tradizione e di ri-creare da essa in maniera innovativa, investigando un "senso non consueto" della realtà (g.c.).