Venerdì, 15 febbraio 2013
Martina Campi - Estensioni del tempo - Le voci della luna Poesia, 2012
con note di Loredana Magazzeni e Enzo Campi
ISBN 9788896048351
A proposito del tempo, Agostino nelle "Confessioni" osservava " Se
nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi
me ne chiede, non lo so ". E' esattamente quello che accade ai poeti,
potremmo dire, con l'aggiunta molto moderna di una spazialità piena di
buchi, come quei rulli di carta che fanno suonare gli organetti di
Barberia. L'unico problema è che sembra derivarne una disarmonia non
prestabilita, o una poetica dell'elisione, che peraltro può avere i suoi
elementi di interesse. Dunque, tempo e spazio,
che Enzo Campi, nella postfazione, accosta filosoficamente alla poesia
di Martina (che, sia detto per inciso, non è sua parente), in modo che
questo estendersi del primo, come dice il titolo, trovi una sua
giustificazione nel secondo, facendone poeticamente, dico io, un non luogo.
Qualcuno sostiene che siano in realtà tutti (o almeno tempo e spazio)
la stessa cosa, ma il senso di questo oscuro discorso è che il tempo è
un materiale difficile per un poeta, e che una delle caratteristiche
della poesia contemporanea, soprattutto italiana, è la lamentazione (sia
detto nel senso tragico del termine) sul tempo, accompagnata dalla
contemporanea elisione della traccia che esso lascia come una bava di
lumaca, cioè la storia (o la Storia, se preferite). Ne consegue che se
non c'è storia, l'io che è possibile rintracciare in detta poesia è astorico, è chiunque, non è un personaggio, è una
funzione grammaticale. Non si tratta mica di nostalgia per una sorta di
unità aristoteliche riportate a lucido, dobbiamo semplicemente
attenerci al fatto che così' è (e non da ora), almeno su questo versante
della produzione poetica. Direi che è naturale che anche in questo caso
ne consegua una poetica del momento, come se l'estensione del tempo in
cui si vive, di cui è fatta la nostra vita, non fosse che l'ampliamento
del lago in cui il momento stesso annega senza nemmeno smuovere un'onda.
Il momento "è", e qui si torna ad Agostino, e si torna anche all'eterno
presente tanto frequente in poesia quanto (per dirla con Bergson) poco
"cosciente" del fatto che se non sa farsi passato semplicemente non è.
E' naturale perciò che anche il linguaggio, la tessitura sintattica, il
ritmo (esso stesso "tempo") si diradino, si allarghino, si estendano
evidenziando spazi bianchi, marcate interlinee, divisioni strofiche
apparentemente arbitrarie, versi anche di un solo lemma che volgono
rapidamente a capo, in cui il lettore balbettante misura un certa
inanità di sè di fronte a una realtà sfuggente, difficile da comprendere
(ovvero catturare) anche per piccoli frammenti, siano essi di relazioni
amorose, di luoghi, di intuizioni quasi casuali davanti a uno specchio,
di fatti che - semplicemente - accadono. In questi interstizi, in
questi vuoti in cui "il bianco - avverte Wittgenstein in un esergo - è
anche una specie di nero", vive - oggi - il poeta. (g.c.)
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Lunedì, 7 settembre 2009
Inedita in rete, una selezione tratta da "Corporea - Il corpo nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese", gentilmente inviatami da Loredana Magazzeni, una delle curatrici del volume. Poesia femminile e femminista, in cui il corpo, fin nelle sue evidenze fisiologiche, emerge prepotentemente non solo come terreno di riappropriazione, coscienza, identità, ma anche come terreno confinario, fronte, baluardo. O luogo in cui perfino la parola poetica assume una densità di carne. Se c'è il rischio insito, come avvertono appunto le curatrici, di una visione riduttiva e storicizzata di questo tipo di poesia (e forse anche, aggiungo, del subire questo corpo come limite poetico, del non riuscire a recuperarlo come luogo, anche, di gioia) è anche vero purtroppo che la storia non insegna niente, come dimostrano i fatti di violenza che leggiamo tutti i giorni sui giornali. Ma c'è anche la distruttiva rivoluzione (o effettiva controriforma) culturale che si compie sul corpo delle donne attraverso una sistematica riduzione ad oggetto operata dai mezzi di informazione di massa, come testimonia egregiamente il bel documentario "Il corpo delle donne" (v. qui) di Lorella Zanardo. (g.c.)
Questo libro nasce dal piacere condiviso di colmare una lacuna. In Italia tutto il corpus di testi di donne in lingua inglese dell’ultimo quarantennio è stato tradotto in minima parte e le poche eccezioni sono per lo più esaurite e introvabili da tempo. Siamo invece convinte dell’importanza di non perdere il valore di una riflessione collettiva di grandi proporzioni scaturita dalla riscoperta del corpo in ambito femminile e femminista. Paradossalmente, proprio l’uso politico del corpo come grimaldello per scardinare la visione del mondo e il linguaggio tradizionalmente conformati sull’ottica maschile ne ha legato le sorti all’effimera fortuna del movimento, facendo sì che oggi in buona parte della cultura dominante la semplice menzione del corpo rimandi a qualcosa di percepito fastidiosamente come risentito e superato.
Contrastare il rischio che questi testi vengano archiviati come vecchi senza che mai sia stata concessa loro circolazione è dunque il nostro obiettivo. Essi infatti esprimono la differenza femminile non tanto e non solo per combattere il mondo tradizionale, quanto per arricchirlo. I criteri di selezione applicati sono stati la qualità poetica e il grado di implicazione corporea. Abbiamo privilegiato autrici viventi e testi non ancora editi, tranne quando la loro rilevanza ha richiesto delle eccezioni alla regola. (nota editoriale)
Involucro di pelle
Dorothy Molloy
In un involucro di pelle
in una scatola di osso
vivo. Braccia,
gambe, dita, alluci,
caviglie, spalle,
gomiti dotati di snodi. I piccoli
badili della clavicola.
Il cingolato della mia
colonna. Le ampie scodelle
dei miei fianchi.
In un involucro di pelle,
in una scatola di osso
vivo. Interminabili matasse
di capelli spinte attraverso
l’epidermide. Una fornitura
di unghie centenaria si acquatta
nelle punte delle dita
e sotto i cuscinetti
degli alluci.
Si celano tamburi nella voluta
dell’orecchio; un ponte
mi attraversa il naso.
Il mio ventre un’officina,
un impianto che ricicla,
un cumulo di concime organico.
La pelvi un recinto,
un terreno di coltura
un vivaio.
Le spugne dei polmoni,
la pompa del cuore, il battito a polso
collo
e tempia.
Sola nella mia grotta
vado alla ricerca, accendendo fiammiferi
mentre procedo. Graffiti
di sangue ed escrementi brillano
sulle mie pareti paleolitiche.
Trad. di Fiorenza Mormile
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