Spesso ho amato brani contenuti in romanzi o poemi perchè mi hanno rivelato (o dato l'impressione di rivelare) qualcosa di più della semplice narrazione o della suggestione dei versi, forse per il peso della personalità del loro stesso autore, che a volte coincide con il peso ingombrante e un pò fuorviante della consacrazione o del mito. Il seguente è uno di questi:
Abdalmalik (...) tacciò di antiquati i poeti che in Damasco o in Cordova si mantenevano ancora fedeli a immagini pastorali e a un vocabolario beduino. Disse ch'era assurdo che un uomo, davanti al cui sguardo si stendeva il Guadalquivir, cantasse l'acqua di un pozzo. Accennò all'opportunità di rinnovare le antiche metafore; disse che quando Zuhair aveva paragonato il destino a un cammello cieco, l'immagine aveva potuto stupire la gente, ma che cinque secoli di ammirazione l'avevano logorata (...). Averroè taceva. Finalmente parlò, meno per gli altri che per sè stesso. "(...) Zuhair, nella sua lirica, dice che nel trascorrere di ottant'anni di dolore e di gloria ha visto molte volte il destino colpire all'improvviso gli uomini, come un cammello cieco; Abdalmalik afferma che questa figura non può più meravigliare. A questa osservazione si potrebbero rispondere molte cose. La prima è che, se il fine della poesia fosse la meraviglia, il suo tempo non si misurerebbe a secoli, ma a giorni e a ore, e forse a minuti. La seconda, che un grande poeta è meno inventore che scopritore. Per lodare Ibn-Sharaf di Berja, si è ripetuto che egli soltanto avrebbe potuto immaginare che le stelle all'alba cadono lentamente, come cadono le foglie degli alberi; se ciò fosse vero, dimostrerebbe che l'immagine è futile. L'immagine che un solo uomo può formare non tocca nessuno. Infinite sono le cose sulla terra; una qualunque di esse può essere paragonata a qualunque altra. Paragonare le stelle a foglie non è meno arbitrario che paragonarle a pesci o a uccelli. Tutti, invece, hanno sentito qualche volta che il destino è forte e stupido, innocente e inumano. Per questo sentimento, che può essere passeggero o costante, ma che nessuno elude, fu scritto il verso di Zuhair. Non si dirà meglio quel che lì si è detto.(...)"
da J.L.Borges - La ricerca di Averroè