Nell'estate del 1958, dopo un decennio circa di lunghissimi soggiorni estivi, W. H. Auden abbandona l'isola di Ischia. Il suo piccolo paradiso italiano cominciava a risentire troppo del primo turismo di massa conseguente al boom economico, con i suoi effetti collaterali: folla, auto, motorette che invadevano le stradette dell'isola. Si veniva a interrompere così un lungo rapporto anche generoso con il Sud italiano e con la sua gente. Questa poesia, ricca di riferimenti mitologici e culturali (le Erinni, Mozart, Goethe e il Grand Tour ecc.), rappresenta il commiato definitivo del poeta, in partenza verso un villaggio austriaco, verso altre genti e altri climi. Il testo, che può essere letto anche come un acuto trattatello di antropologia culturale, è dedicato a Carlo Izzo, che ne è anche il traduttore. Izzo, uno degli anglisti più eminenti del Novecento italiano, era fautore della teoria etica o "umile" della traduzione letteraria, in cui ci si deve porre in maniera quasi invisibile e mai invasiva al servizio dell'autore e del suo testo, come spiega nel suo libro "Responsabilità del traduttore, ovvero esercizio d'umiltà", del 1966.