Il fascino discreto della rilettura consiste essenzialmente, al di là
degli apparati critici o delle ragioni intellettuali, nel chiedersi -
davvero - perchè qualcosa ci piace. Ciò è tanto più vero oggi, quando le
reti "socievoli" (chiamarle sociali mi pare eccessivo) cercano di
costringerti a un semplice click su di un bottone. Sintesi che poi non
porta a niente, come quella di chi pretende di fare politica apponendo
on line un "si" alle idee di altri.
Devo ammettere che di tanto in tanto le riletture hanno per me una
necessità disintossicante, di tutto il leggere (di poesia) troppo e
spesso male. A questo scopo una poesia come quella che trascrivo qui
sotto funziona egregiamente.
Franco Fortini - Il seme (da Questo muro, 1973)
Caduti i cartocci giù
le foglie luccicano come piccioni
della magnolia altissima. Sotto i cedri
dove la luce del pomeriggio è fitta
vedo l'erba crudele acida profonda
e l'interrogazione ritorna
ai colpi di vento si curva
si divide ritorna ma dicono i merli di no
camminando o fermi.
Mio padre
s'inteneriva sulla propria morte
udendo l'allegretto della Settima.
Negli angoli dove c'è a marzo maceria
con gran pianti i bambini seppellirono
gli uccelli caduti di nido. Ma nulla
sa più di noi e discorre da sola
coi suoi corni e le trombe la musica
tra questi muri sudati.
In luogo di lui ci sono io
o mio figlio o nessuno.
Tutti i fiori non sono che scene ironiche.
Ormai la piaga non si chiuderà.
Con tale vergogna scenderò
i seminterrati delle cliniche
e con rancore.
Non è ancora luglio
non ancora scaldato asciutto assoluto
il seme.