Ewa Lipska
è una delle voci che più spiccano nel panorama contemporaneo della poesia
polacca, europea ed internazionale. Tradotta in oltre venti lingue (tra le
quali inglese, francese, russo, tedesco, spagnolo e italiano), è autrice
anche di opere teatrali, poesie in prosa e prose poetiche per cui ha
ottenuto numerosi riconoscimenti e diversi premi.
Questa raccolta, “Il lettore di impronte digitali” (titolo originale Czytnik linii papilarnych), pubblicata quest’anno in traduzione
italiana da Donzelli Poesia a cura di Marina Ciccarini, indaga un tema caro alla poetessa, come
si deduce dalla poesia introduttiva “Rebus” (ma anche da altre liriche
della raccolta come “Il Big Bang” e “Il mondo”): ovvero il grido di
sofferenza dell’uomo che non riesce a decodificare il rompicapo cifrato ed enigmatico del mondo in cui è immerso
(“Il mondo / in cui vivevamo / si chiamava Rebus / e se ne infischiava
delle nostre domande”). Eppure quello dell’enigmaticità del mondo è solo
uno dei temi toccati da Ewa Lipska che si sofferma anche sul valore
terapeutico della folla e sull’intimo richiamo del ricordo (“Il banchetto”:
“Nella clinica della folla / ci sentiamo più sicuri. / Innocenti inezie di
ricordi. / Ostriche. Vino. Risate. / Per fortuna / c’è sempre più rumore. /
Un chiasso pulsante di vita), per poi puntare dritto sull’individuo, che
viene colto sia in quanto singolo sia nella relazione interindividuale.
L’individuo unico e irripetibile, come le sue personalissime impronte
digitali, e afflitto da una solitudine che “volteggia…come un aereo da
ricognizione” (La solitudine), si trova alla congiunzione tra il reale e il
virtuale. Il web infatti entra prepotentemente nelle liriche di Ewa Lipska:
da un lato, il profilo virtuale del singolo alleggerisce e anestetizza la
vita reale sublimandola in un una convulsa e compulsiva congerie di “nuovi
eventi”, “nuovi mi piace”, “contatti”, “notifiche”; dall’altro lato, ogni
atto condiviso sul web si moltiplica a dismisura negli altri profili degli
utenti dei social network, con l’amplificato risultato finale di “baciarsi
con miliardi di bocche” (“I nostri file virtuali di corpi / in album / blog
/ in taccuini di conoscenti. / Nuovi eventi. / Nuovi mi piace. / Piacciamo
alla Coca-Cola / a Ronaldo e al Papa / Siamo già / nei contatti / e nelle
notifiche. / Il nostro letto nel diario. / Toccami / e tieni premuto / Ci
baciamo con miliardi di bocche”).
Come il web è visto da Ewa Lipska come un’anestetizzazione della vita
reale, così l’ amore avviene sotto “la tenera narcosi del cielo”, che
libera l’anima dal dolore e induce al sonno e al distaccamento dalla realtà
(“Innamoramento”). Tale distaccamento dal reale può essere solo momentaneo
perché l’amore è fragile e friabile come ghiaccio al sole che alle prime
luci di marzo si scioglie e di esso rimane solo un acquoso collirio (Il
collirio), oppure può durare più a lungo, ma a costo di diventare una
guerra di compromesso perenne (“Nozze d’oro”: “Nel loro matrimonio / alcuni
colpi di Stato. / L’esercito / nelle strade del letto. / Arresti di amanti.
/ Esecuzioni. / Ora / anni dopo / dormono con le spalle alla parete. / Con
una paura analgesica”).
Il discorso poetico di Ewa Lipska, che ha in comune con la poetessa Wisława
Szymborska (che conobbe quando era ancora in vita) le immagini surreali, il
gusto del paradosso e il sapiente uso dell’ironia, si arricchisce inoltre,
nella raccolta, di riflessioni metapoetiche sullo status della poesia. La
poesia è, nell’immaginario di Ewa Lipska, la preda che si insegue, orma a
dopo orma, per tutta la vita (“La caccia”) ma che è e rimane sempre
sfuggente e inafferrabile contro cui i versi abbai ano, guaiscono, latrano senza raggiungerla però
mai completamente: “Un verso randagio vagabonda / nella materia oscura della
carta. / Non ha padroni. L’autore l’ha lasciato / in balìa del destino. Orfano
di parole. /A volte / I versi sono come cani abbandonati / che abbaiano alla
poesia”. (Claudia Mirrione)