Pensavo che, a parte le iniziative ufficiali, i poeblogs sarebbero stati inondati di sue poesie, ieri, nel ventennale della morte di Giorgio Caproni. E invece poco o niente, per quanto ne so. Buon segno. Vuol dire la sua "marginalità" rispetto alla poesia corrente si mantiene nel tempo, e questo non può che fargli bene, mantenendo una sua specificità, e limitando ridicoli tentativi di imitazione. Del resto Caproni non è automaticamente assimilabile, nella poesia attuale trovi quasi sempre qualche montalismo o qualche petrarchismo, ma è difficile rinvenire qualcosa, che non sia risibile, che assomigli al poeta livornese.
Di Caproni si è detto (sporadicamente, perchè non c'è stata un'attenzione critica approfondita nei suoi confronti) che fosse preermetico e poi ermetico, impressionista e narrativo, patetico e lieve, ma di fatto Caproni era ed è un autore sui generis, capace come pochi di immergere profonde dinamiche psicologiche in una struttura cristallina, come una roccia metamorfica.
Per quanto mi riguarda, ogni volta che leggo le sue filastrocche leggiadre e musicali che spesso contengono trabocchetti di senso mi viene da pensare che il suo essere stato maestro elementare (v. qui) c'entri qualcosa. Voglio dire, che c'entri un pò con la musica, un pò con il gioco, un pò con il girotondo che malinconicamente o allegramente si fa nel cortiletto della scuola e c'entri qualcosa anche con tutti quegli artifizi (le rime, i ritmi, i metri corti) che tanto sono d'aiuto per insegnare le poesie ai bambini. Facile pensare a Zanzotto, anch'egli maestro, e al suo petèl, il gergo infantile e poetico delle sue terre, di cui lui non credeva "che fa mal ai fiói".
E' questo versante della poetica di Caproni, che non è abbassamento dei toni ma accostamento ad un altro linguaggio fatto di meccanismi perfetti che lui, tuttavia, a volte si divertiva a mettere in corto circuito, ad essere incantevole. Per lui fare poesia era questo modo saldamente impiantato nella tradizione italiana e tuttavia del tutto personale, come quello, tanto per fare un accostamento, di Sandro Penna.
Ripropongo qui nella sua interezza il poemetto "Il passaggio di Enea" tratto dall'omonimo libro del 1956, accompagnato dalla nota che Bianca Maria Frabotta scrisse in occasione della morte del poeta sul n. 26 di Poesia (febbraio 1990). Per altri interventi e testi (di Bigongiari, Cucchi, Caporali) rimando a quella pubblicazione, come pure al n. 36 del gennaio 1991 (testi di G.Bertolucci, Frabotta, D'Elia)