Martedì, 3 dicembre 2013
Quanti ne ho mangiati di lavarelli (o coregoni) durante i miei soggiorni sui laghi lombardi. Bei ricordi, anche quelli. Il pesce d'acqua dolce di Giampiero Neri ha un'evidenza quasi scientifica e una sostanza affatto poetica, che si insinua e si installa nel testo per mezzo di una semplice osservazione, minimale, apparentemente oggettiva, e che sembra non entrarci niente: "ha la testa piccola, come di chi deve pensare poco". Ti diventa simpatico, come chi si suppone essere inoltre "pigro e pacifico". Come sono familiari, comuni, sono noi, i personaggi di "Liceo", collocati un uno scenario urbano e borghese dove i fatti, anch'essi, si presentano con una loro evidenza "slegata" e del tutto diacronici, connessi tra loro solo da una affascinante mancanza di causalità, su cui proprio l'atto poetico di Neri è intervenire a mettere ordine. Ed è l'intervento che si rispecchia in "Procedimenti", metafora dell'atto artistico che "alla fine rivela una luce propria, che attraversa una vasta ombra". Poesia in prosa, prosa poetica, prosa in prosa, linea lombarda (o forse del Garda, o meglio comasca)... In fondo che importa, oggi, leggendo questi testi che risalgono alla fine dei Settanta, pubblicati poi nella seconda opera di Neri (Liceo, Guanda 1982), e che allora suonavano così originali? Dice molto bene Francesco Marotta a proposito di Giampiero Neri:
"Il registro, il timbro originale della sua voce, è rintracciabile in un magistrale e originalissimo connubio tra un tono ironico, di ascendenza socratica, e una oggettività scientifico-didattica che si dispiega in descrizioni minuziose, come passate a un microscopio che ne rivela finanche i più estremi particolari: particolari che l’occhio, educato da secoli di visioni d’insieme, e per ciò stesso escludenti – dal momento che lasciano vivere un dettaglio solo a patto che rientri nella struttura piana e immediatamente decodificabile dell’immagine -, spesso tralascia, come elementi affatto marginali, come schegge refrattarie, impazzite, che non sedimentano. Ed ecco che la poesia, in questi termini, nei “suoi” termini, diventa, e si pone, non come il segno distintivo di un’esperienza finalizzata a trascendere il dato concreto, ma come traccia ed espressione, attraverso il particolare, di un’oltranza all’interno di una pluralità di sensi (...) La rinuncia, nella costruzione del corpo vivo del testo poetico, a qualsiasi collante di natura lirica, a ogni forma di soggettivismo che, in maniera preponderante, utilizzi la descrizione dell’oggetto al fine esclusivo, anche quando non dichiarato, di dare voce al sé che lo sostanzia, risponde in Giampiero Neri all’esigenza, eticamente pregnante, e pressante come un pungolo sempre in movimento, di costruire dei nuclei di senso autonomi all’interno dei quali è facile, perché storicamente “possibile”, riconoscersi: il riconoscimento identitario, così ottenuto, esclude a priori che una qualsiasi esperienza soggettiva possa mai ipostatizzarsi in verità assoluta, da una parte, o in una indicazione di percorso escludente qualsiasi altra ipotesi, dall’altra. Un’esigenza etica, dunque: di un ethos che si dispiega nell’accettazione degli avvenimenti come “destino”, un informe o ordinato reticolo di segni sempre da interpretare e da reinterpretare, pur nell’apparente uniformità delle immagini che si offrono all’ascolto della parola. L’esistenza, intuita come destino, quindi, utilizza, quale chiave di accesso privilegiata a questi segni, un intero alfabeto fatto di glifi, segni, figure ed elementi naturali la cui osservazione e descrizione realistica permette di chiarirne qualcuno, mai di spazzare via definitivamente il buio che è alla radice di ogni visione (...)". (Il testo integrale dell'articolo, che consiglio di leggere, è reperibile QUI, dove è possibile trovare anche altre poesie di Neri).
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