Un altro articolo,dopo quello dell'11 marzo,inviatomi da Matteo Veronesi, questa volta dedicato al tema, difficile ma gravido di prospettive, della grazia sotto il duplice profilo etico/metafisico ed estetico/artistico. Colgo l'occasione per ricordare un altro importante articolo (Classicità, sublime, avanguardia) apparso su Absolute Poetry nel febbraio 2007 (v. qui). Ringrazio Matteo e segnalo che il link al suo sito è, da sempre, qui a lato.
La Grazia terribile del Verbo
Come ha sottolineato di recente, nella fondamentale voce "Grazia" della rinnovata Enciclopedia filosofica edita presso Bompiani, un giovane estetologo, Martino Rossi Monti, un nesso sottile ma essenziale congiunge la “grazia” intesa in senso etico e teologico e quella intesa sul piano estetico ed artistico.
Se la prima è uno stato che predispone l’anima alla purezza, al candore, alla luce, all’apertura verso il divino nel duplice senso di avvicinarsi ad esso o di accoglierlo in sé, di abbracciarlo con slancio trascendente o come Danae riceverne dalle altezze del cielo il vivificante effluvio, la seconda (enfatizzata soprattutto, in antitesi al preteso “cattivo gusto” barocco, dall’estetica settecentesca, ma già sottesa alla charis, alla raffinata, dotta e studiata eleganza inseguita, in età ellenistica, dalla poetica alessandrina) è, o sarebbe, invece, nell’arte come nel comportamento, nella musica e nella danza come nella parola, qualcosa di non dissimile, forse, dalla “leggerezza” (peraltro un po’ leziosa, stucchevole, scintillante fino all’eccesso) teorizzata dal neoilluminista Calvino nelle Lezioni americane: un carattere di armonia, di equilibrio, di limpidezza, di compostezza e insieme di levità, di alata soavità, di autodominio e di misura garbati, consci, apparentemente spensierati e negletti, e sorretti, invece, da quella che nella teoria dell’esecuzione musicale si definiva “sprezzatura”, cioè dalla capacità di superare ogni asprezza, ogni ostacolo, ogni difficoltà tecnica con una naturalezza e una noncuranza che erano frutto, in realtà, di studio e applicazione assidui (in quest’ultimo senso, l’ideale estetico della grazia non è poi lontano dal precetto dell’”ars celare artem”, dall'ideale di una pascoliana e luziana “naturalezza del poeta” che trae nutrimento e sostegno dallo studio, dalla ricerca, dalla meditazione, e nel contempo le maschera, le alleggerisce, le filtra, fino a dissimularle e a farle quasi scomparire).