Martedì, 12 luglio 2016
Leggendo i versi di Paolo Taormina
nota di Rita Pacilio
La poesia è sempre una rivoluzione
La poesia è sempre una rivoluzione, una tempesta che rivolta la realtà dando forma nuova e in crescita alle cose. Rovesciare e mutare diventano, quindi, lo
stesso fenomeno in cui soggetto/mondo e lettore/mondo assumono la stessa veste complessa e interrogativa. Sì, il poeta continua a interrogarsi anche senza
fare domande esplicite rimproverando gli accadimenti, lamentandosene in maniera forte e sonora e, allo stesso tempo, amandoli, adorandoli perché capaci di
mandare in frantumi le paure e le inquietudini. La realtà è contemporaneamente donazione e purgamento, cioè ricongiunzione delle ambiguità e delle
molteplici verità dell’esistente. Tuttavia persevera la tensione che si distende nella parola mobile, strumento per affermare il ritmo fonetico da cui
parte l’idea silenziosa e assolutamente elevata dell’annuncio del cosmo. L’essenzialità del verso, la sua spaziatura sperimenta l’ancoraggio naturale al
battito, al respiro ancestrale in cui è accolta e rispettata l’espressione implicita ed esplicita della parola nuda, spietatamente degna del proprio
artefice. Ecco, questa è la matrice portante dei versi di Paolo Taormina nei lavori poetici ‘Il sole dell’esilio’ (Forum quinta generazione, 1992)
e ‘Le regole della rosa’ (edizioni del Foglio Clandestino, 2014), libri in cui è ben chiara la dinamica e la prospettiva evolutiva del suo compito
poetico. La fedeltà alla vocazione visionaria implica la chiamata alla condizione esistenziale per liberarsi nella solitudine autentica del proprio essere.
Condividere le memorie, le consapevoli banalità quotidiane rende credibile il punto centrale della forma significante che aspira all’essenziale –
scenograficamente è il rinvio della parola allo spazio/stanza/accapo - per poi allargare il panorama dell’interno/esterno verso l’esterno/interno. Non
bisogna sottovalutare il valore sovrano del ricordo che mantiene la sua durata in modo punitivo, perché, diagnosticando continuamente la leggerezza delle
cose, cadiamo in fallo ostinatamente. Il mondo e ogni oggetto è perennemente in bilico, infatti, è inevitabile e comprensibile la nostra chiave di lettura,
sguardo che muta con il passare degli anni e che ci mostra l’incostante forme delle cose. La poesia, allora, è l’unica realtà possibile in cui gli elementi
probabili della vita possano dare un senso al tempo passato e al presente in cui la confusione e l’alienazione dell’uomo si identifica misteriosamente e in
modo surreale con i luoghi dello spirito.
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Venerdì, 4 dicembre 2009
Libro da meditazione, questo di Emilio Paolo Taormina (edizioni del Foglio Clandestino, 2009), come molti vini di Sicilia. Costruito su testi brevi e apparentemente occasionali, con una "scrittura del frammento e della dislocazione" secondo Massimo Barbaro, ed echi ineludibili di Ungaretti, di Montale, di Pascoli e perfino del Gino Paoli di "Sassi", dà subito l'impressione di essere stato scritto da un uomo intento ad odorare, di qualcosa di antico, forse un otium, qui inteso nel senso più nobile del termine e tuttavia niente affatto spensierato o alieno da pene.Libro di odori e profumi, innanzitutto. Non si contano le volte in cui spuntano tra i versi il gelsomino e i limoni, in cui la brezza diventa qualcosa di tangibile e olezzante di salsedine. Il mare infatti è sempre vicino, visibile e udibile, presenza ctonia e testimone di una insularità dell'anima, componente essenziale, come la campagna e le colline, di una natura sempre presente e naturata ovvero familiare e perpetua, che fa da tessuto sinestetico alla scrittura del poeta. Anche quando parla d'amore o di morte l'io è immerso in questa natura, dove l'io stesso abita in maniera inscindibile. E questo essere nella natura non è puro paesaggio o sfondo, anzi implica, se si può dirlo in termini cinematografici, un movimento di macchina o dello sguardo dal circostante mondo all'interno dei sentimenti e viceversa, e con ciò quindi una corresponsabilità della visione della natura nella formazione del pensiero.Che prende forma spesso in testi essenziali, dalla versificazione corta e spezzata fino al limite del singolo lessema, che scende fino all'aforisma e ricorda (ovviamente) l'haiku, ma anche altri maestri della forma "corta" italiana, ermetici e non, nel pieno di una tradizione a cui Taormina non può non appartenere. Un esempio per tutti: attraversando un campo di papaveri il disco trasparente della luna
Naturalmente il lavoro di Taormina si svolge anche su testi di più ampio respiro, che sinceramente sono quelli che preferisco anche perchè in essi l'idea poetica, pur fulminante già nei componimenti brevi, ha modo di svilupparsi nelle sue sfumature più liriche. Ma in tutti il procedere del linguaggio è lineare e sottrattivo, quasi scarno, fatto di tempi verbali semplici, di sostantivi concreti e terragni, e una aggettivazione non ricercata che rimanda piacevolmente a una koiné familiare, come una confortante aria di casa, anche in quei testi in cui la riflessione si sofferma sul dolore, sull'assenza, sul tempo che scorre inesorabile e a cui siamo legati, tutti, da uno "sposalizio". Perchè, è bene dirlo, in tutte le poesie, anche le più "leggere", anche nelle nature morte guttusiane fatte di poche parole vibranti è presente una costante meditazione e il giudizio non è mai sospeso, pure nei momenti in cui il poeta sembra immerso in una sorta di contemplazione . Questo flusso che attraversa un libro che con qualche ragione possiamo definire filosofico va di pari passo con un flusso armonico di testi - susseguentisi fittamente e la cui separazione è quasi una convenzione - che inviterebbe a leggerlo con una certa avidità. Al contrario, forse più di altri libri di poesia e proprio perchè meditata, questa raccolta va affrontata con qualche lentezza, anche per contrastare un certo effetto di saturazione e di vertigine che la ferrea compattezza stilistica suscita. Va sfogliata cioè come un libro dei pensieri, uno o due al giorno, da leggere sotto una pergola con un bicchiere di Malvasia di Lipari, alzando ogni tanto lo sguardo verso il mare. (g.c.)
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