Domenica, 29 gennaio 2012
Giuseppe Samperi - Il miliardesimo maratoneta - Ed. del Calatino,
2011
Una
poesia sulla scrittura, questa, o meglio una poesia s ulla convinzione
che la scrittura, intesa come oggetto o metafora della vita per
eccellenza, possa quasi sostituire il fatto (o rivestirlo poeticamente),
parlando di sé stessa. Quasi una metapoesia. Dico questo perchè i
"protagonisti" principali di questa raccolta appartengono tutti al campo
semantico dello scrivere, quasi tutti i fatti, gli eventi, le
esperienze, gli squarci di paesaggio, quasi tutti i frammenti sono
intinti nell'inchiostro, la maggiore ricorrenza di questo libro. In altri termini, come un indovinello veronese alla rovescia (ricordate? Se pareba boves, alba pratàlia aràba /et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba).
Così ad esempio avviene che il confronto con il padre, in una delle
sezioni del libro, sia tra vigna e righe, tra le coltivazioni e
"l'incavo profondo del pozzo / dove intingere la stilo", tra la
pigiatura dell'uva e quella della carta, col vanto della "gradazione
alta dell'inchiostro". Analogamente si parla di "risacca del
fondopagina", del "bagnasciuga della pagina", si parla di fogli, di
"spiaggia d'avorio" e così via.
Non vorrei però
dare un'idea limitativa di questa scelta metaforica, che invece va
letta anche più in profondità. Mentre parla di sé (del suo "sè" più
ampio) l'autore parla dell'alta considerazione della scrittura e
viceversa, in una continua osmosi di senso. Il nero dell'inchiostro è
certamente anche quella zona oscura da cui trarre elementi di identità e
campo di ricerca, la pagina è anche orizzonte e limite da valicare,
linea di battigia contro cui si frangono le risacche del vivere e
insieme hortus conclusus rassicurante in cui la scrittura può
svolgere (o si spera che svolga) un suo ruolo salvifico e
giustificatorio, avere una sua ragione. Questo lavorìo è sottrattivo e
contratto, l'alleggerimento linguistico è costante, direi programmatico,
disposto in sintagmi brevi e senza fronzoli che trovano esito in testi
anche molto cortì, di una poesia lapìdea, dal tono a tratti categorico,
aforistico, ma di efficace suggestione, di sintesi però invitante, che assomiglia tanto al carattere isolano. Se c'è un dubbio è che poi la scrittura non basti, possa non
farcela, assomigli - quando c'è sconforto - a "scolatura che rimane /
dagli accurati strappi" o all' "inutile / inchiostro che non aspetta /
che ti si riscaldi il latte", come dice alla madre, come dice a quel
dolore per cui "questo inchiostro non ha / fotogramma d'animo", forse
quindi non ha forza iconica sufficiente. Il dubbio, intendiamoci, è
dell'autore (ma come rinunciare all'unico strumento, seppure con i suoi
limiti, che ha il poeta?), non del lettore. Al lettore semmai rimane la
curiosità o la speranza di vedere Samperi, con questi mezzi, all'opera
anche su testi di più ampio respiro. Da maratoneta, appunto. (g.c.)
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Domenica, 3 ottobre 2010
Con il libro di Marco Scalabrino (La casa viola, Edizioni del Calatino, 2010) ci si avvicina a una essenzialità poetica che è quella del detto popolare, abilmente ibridato con uno sguardo abbastanza smagato da apparire metafisico, e con una sensibilità parente di quella simbolista. O forse, semplicemente, è che Scalabrino appartiene in fondo a una cultura in cui l'espressione verbale è insieme rarefatta e polisemica, poche parole ma buone, di un certo speso specifico, come dice qualcuno. Ma a parte questo, qui l'uso del dialetto non è affatto programmatico o "politico" (del tipo identità e orgoglio) e nemmeno resistenziale, ma è semmai pittorico, icastico, e quindi est-etico. Sopratutto culturale, poichè Scalabrino è, da quello che si evince, uomo colto, e anche ironico, ed è con questo bagaglio che manipola il suo dettato, con grande raffinatezza. Dice Flora Restivo nella sua torrenziale prefazione: "Una (..) osservazione non può prescindere dall'impatto col linguaggio, che nulla regala e mai ha regalato al minuetto, privilegiando un ritmo secco, intenso, talvolta pausato fino alla stanchezza, tal'altra quasi tambureggiante, ma sempre mirato a penetrare nel cuore di ogni tema trattato. Le immagini, procedendo per rapide scansioni, acquistano dirompenza, tendendosi verso gli estremi confini del vivere, con una tecnica raffinatissima, che si avvale di tutti gli stilemi che la profonda conoscenza della materia gli mette a disposizione, oltre ad una metrica scarna e un dettato asciutto, spigoloso, graffiante, non di rado rischiarato da rapide e travolgenti illuminazioni liriche di vibrante fascino. La "grazia del primo verso", che davvero giunge quando vuole, poco o nulla sarebbe senza una indispensabile e meticolosa techne". Come non essere d'accordo? Aggiungerei la "musica", che in questa poesia ce n'è tanta, non per ricorso a forme metriche in particolare, ma per la natura stessa di questo linguaggio, eminentemente fonico (e fàtico), fatto spesso di parole-scrigno, di vocaboli bi-trisillabici (in cui parole alloctone risaltano maggiormente estranee, come ad esempio "televisioni" - che guarda caso "dicinu cosi / chi nun capisciu"). Insomma, il dialetto non è enclave ma spiraglio di senso e suono. E' da questo punto di vista che la scelta di riproporre i testi affiancati da una traduzione in diverse lingue può apparire talvolta disomogenea, non sempre convincente, almeno là dove la traduzione risulta come un evidente impoverimento del testo originale, del suo suono, forse del suo senso, come certo avviene in lingue "distanti", come l'inglese. Probabilmente meglio, a mio avviso, limitarsi, anche come operazione culturale, a una prossimità linguistica (come quella che molti poeti di queste sponde marine trovano nell'area latina mediterranea (còrso, catalano, siciliano, in parte sardo ecc.) Buono per esempio il ricorso a un poeta come Ghjacumu Thiers, ottimo autore). Ma questa osservazione del tutto personale, che certamente Scalabrino come traduttore e saggista avrà considerato, non toglie granché a un libro arioso e pensoso, interessante e fine, di piacevolissima lettura.
Pubblico di seguito qualche testo, con la sola traduzione in italiano.
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