SENTITO DIRE
Il est vrai que chaque poème en toute langue attend (et même maintenant requiert) d’être traduit en toute autre (M. D.)
È vero che ogni poesia e in ogni lingua aspetta (e chiede oggi) di essere tradotta in ogni altra lingua. (M. D.)
Il titolo della raccolta da cui sono stati estratti i poemi è “Ouï Dire”, alla lettera “Sentito dire”, ovvero la “Voce” che giunge… senza un criterio di verità. Se “quel che accade in poesia, è il trionfo della perifrasi e dell’equivoco - scrive Déguy – per la gloria
dell’immaginazione”. Il pensiero poetico “esita tra” i nomi, il significato, il senso.
Déguy sostiene che la prima fase della sua poesia, fino a “Gisants”, potrebbe essere racchiusa sotto il paradigma “Ouï Dire”. “Nutrita di
esperienze: viaggi e traduzioni” e altre voci: “sotto il segno di Holderlin e Heidegger”. Nella sua prima ispirazione “la poesia è fiduciosa,
immediata”. E segnata dall’inquietudine che è la ricerca di precisione, di senso. La poesia di Déguy si costruisce anche su una sfida al senso. Perché
la poesia è anche libertà, la libertà del bambino d’inventare parole: ecolalie, glossolalie, invenzioni musicali, onomatopeiche. E, al contempo, si
carica di tutto il senso possibile, la forza della filosofia si dispiega nella bellezza della frase. Una poesia pensante.
“Se la stessa cosa si potesse chiamare ora con un nome ora con un altro, diceva Kant, nessuna sintesi dell'immaginazione potrebbe avere luogo. Tuttavia
è quel che accade in poesia”. Dunque, c’è una “ragione poetica” come c’è una ragion pura filosofica. Una ragione la cui intelligenza sta dietro i
fenomeni, pur essendo interamente nella sensazione, nei sensi.
Per Déguy, la poesia è compresa “nell’assioma di complementarità, l’associazione onda-corpuscolo, continuo-discontinuo”. Da un lato: “la prosodia, la
logica, il continuo dei tropi”, dall’altro lato: “la rottura, la dislocazione, la dispersione stocastica” (1)
Visage comme il sort des broussailles Dédoré végétal Paré de lichens laid de terre Terrestre un paysage avec jachère Du chaume ça pousse Ainsi la peau c’est le sol
* …
Les yeux coulent encaissés Passage de l’âme en ce défilé Remontant de la perle à fleur d’être Fontaines comme à Vaucluse Inattendus paisibles On les voyait passer tout le jour Presque sans bruit …
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Des maux secrets comme des hauts-fonds Nous guérissions sans les connaître Parfois au verso des paupières Dans les plis de l’aveuglement Les veines d’une vierge prévalent
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Quai gris d’où tombe l’appât de neige Le jour décline dans sa coïncidence L’homme et la femme échangent leur visage Le vin est lent sur le tableau A passer dans son sablier de verre Et l’artiste rapide au cœur par symboles Doué de confiance hésite : La pierre est-elle plus belle dans le mur ?
*
Remonte l’entropie sous l’os Reviens hanter comme un amour Sans violence la terre Ce que je sais je ne le sais pas En douce ubiquité plus fort que le mortel Fantôme à mi-hauteur sous la lumière de l’élu Mais à lambeaux de chair et de toile telle Une mort sculptée du quinzième.
*
Écus de lumière au fond des ruelles leurs dernières oriflammes Le non sens de regarder dans la fête absente Un visage oblong Forceps du temps au coin des yeux Boucles d’acacias Les voix me parviennent Mouvement des murs comme les bateaux se volent La visibilité dans le port
*
Les rocs les fleurs les fleuves hantés de forme héroïque Dieux hydrifiés pyrifiés hylifiés choses Comment y eut-il corneille laurier Qui sont-ils ce masque ce moulage d’homme Dont le poème soupçonne la genèse sur son silence Paraître fut mourir et l’immortel se retirait
*
Le corps lent qui fraye les rideaux de vide Enfoncé jusqu’aux hanches en oubli Une cagoule mince sur les yeux
Le corps phylogénétique le corps Magdalénien médiéval corps fidjien romantique Corps moderne géant analogue Poème ô vocatif proportionnel À cette enfouie distance : la perte qui sourd sum La voici eau qui me parle d’abîme Méandres son argent qui me parlent du centre et Le feu de la nuit et les fleurs à côté Femme au visage posé sur le sanglot Ô terre remise du chaos le poème Parque pour sa tresse glane les brins Que lui tendent des muses méconnaissables
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À peine ouvre-t-elle trop ses lèvres par rire ou bâillement son visage se perd dans la fosse des amygdales Scrutant les muqueuses où s’abîme son nom l’amour glisse se raccrochant aux racines des seins Il se baisse et des eaux du cercle d’anonymat saura faire remonter comme une nymphe la crase du fils vers l’intelligence
*
Il est besoin d’un lecteur d’un geste d’un papier D’un miroir Tu es visage ma feuille mon échancrure Je suis le tissu pour que tu sois mon vide La surface Pour que froisse la main L’ aber où l’eau s’aiguise Racine où le sol tressaille Ton blanc mon noir Le creux pour ma difficulté le blanc pour que je sois Ce dessin que je ne serais pas Tu es peau pour Mon alphabet J’étais l’air pour que tu n’engorges Alvéole pour que tu fusses arc
Oui dire, 1966
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Viso come esce dai cespugli Vegetale sdorato Ornato con licheni sporco di terra Terrestre un paesaggio a maggese Cresce dalle stoppie Così la pelle è il suolo
* …
Gli occhi incassati colano Passaggio dell'anima in questa sfilata Che risale dalla perla a fior d’essere Fontane come a Valchiusa Inattesi placidi Li si vedeva passare tutto il giorno Quasi senza rumore …
*
Dai mali segreti come secche Noi guarivamo senza conoscerli Talvolta dietro le palpebre Nelle pieghe dell'accecamento Le vene d’una vergine prevalgono
*
Lungofiume grigio da dove cade l'esca di neve Il giorno declina nella sua coincidenza L'uomo e la donna scambiano il loro viso A rilento il vino dipinto Passa nella clessidra di vetro Dritto al cuore per simboli l'artista Fiducioso esita: La pietra è più bella nel muro? *
Risale l’entropia (2) sotto l’osso Ritorna a abitare come un amore La terra senza violenza Ciò che so io non lo so In dolce ubiquità più forte del mortale Fantasma a mezza-altezza sotto la luce dell'eletto Ma a brandelli di carne e di tela come Una morte scolpita del quattrocento. *
Scudi di luce al fondo di viuzze le loro ultime orifiamme L’insensatezza di guardare nella festa assente Un viso allungato Forcipe del tempo all'angolo degli occhi Volute d’acacia Le voci mi giungono Movimento dei muri come le barche si rubano La visibilità nel porto
*
Le rocce i fiori i fiumi abitati da forme epiche Dèi idrificati pirificati ilificati (3) cose Come vi furono cornacchia alloro Cosa sono questa maschera questo calco d’uomo Di cui la poesia sospetta la genesi sul suo silenzio Apparire fu morire e l'immortale si ritirava
*
Il corpo lento che apre cortine di vuoto Affondato fino ai fianchi nell’oblio Un misero cappuccio sugli occhi Il corpo filogenetico il corpo Magdaleniano medievale corpo esotico romantico Corpo moderno gigante analogo Poesia oh vocativo proporzionale A questa distanza nascosta: la perdita che sgorga sum Eccola acqua che mi parla d’abisso Meandri il suo denaro che mi parlano del centro e Il fuoco della notte e i fiori accanto Donna dal viso posato sul singhiozzo Oh terra riparo dal caos la poesia Parca per la sua treccia spigola i fili Che gli tendono muse inconoscibili
*
Appena apre troppo le labbra dal riso o sbadiglio il suo viso si perde nella fossa delle amigdale Scrutando le mucose dove sprofonda il suo nome l'amore scivola e s’aggrappa alle radici dei seni Si abbassa e dalle acque del cerchio d’anonimato saprà far risalire come una ninfa la crasi del figlio verso l'intelligenza * C’è bisogno di un lettore una carta un gesto D’uno specchio Tu sei viso, mio foglio, scavo Io sono il tessuto perché tu sia il mio vuoto La superficie Affinché gualcisca la mano La foce ove l'acqua s’affila Radice ove il suolo trasale il Tuo bianco il mio nero Il cavo per la mia difficoltà il bianco perché io sia Questo disegno che non sarò Tu sei pelle per Il mio alfabeto Io ero l'aria perché tu non soffochi Alveolo perché tu fossi arcata
Sentito dire, 1966
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da Michel
Déguy, Donnant Donnant (Poèmes
1960-1980) - Traduzione e note di Alfredo Riponi (collab. G.Cerrai)
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(1) Per questa e le altre citazioni contenute nella nota: M. Déguy, prefazione a Donnant, donnant, Poésie/Gallimard, 2006
(2)L’entropia, intesa come passaggio dall’ordine al caos, è un processo difficile (impossibile) da invertire. L’imperativo categorico è un’esortazione a combattere il disordine
(3)Ilificati : La hyle è la materia indifferenziata comune ai corpi. Ilozoismo, concezione filosofica secondo la quale la materia è vivente e animata, dal greco Hyle (selva, bosco) e zoé (vita). “Tutto è pieno di dèi” (Talete).
per notizie biografiche e altri testi di M.Déguy v. qui e sul blog di Alfredo Riponi qui