Frida Kahlo: un universo poetico attraverso l’auto-ritratto (a Palazzo
Albergati, a Bologna
)
“
Il mio lavoro nel corso di dieci anni è consistito nell’eliminare tutto
quanto non provenisse dalle pulsioni liriche interne che mi spingevano
a dipingere. I miei temi sono stati sempre le mie sensazioni, i miei
stati d’animo e le profonde dinamiche che la vita andava producendo in
me.. rappresentazioni di me stessa che erano quanto di più sincero e
vero potessi fare per esprimere quel che sentivo di me e d’avanti a me
.” (F.Kahlo, lettera a Chavez. 1939)
Basta guardare i ritratti dipinti a partire da un medesimo modello, quello
di Natascha Gelman, collezionista privata della pittura muralista messicana
e prima acquirente insieme al marito delle opere di Frida Kahlo e Diego
Rivera - la collezione privata attualmente esposta a Palazzo Albergati di
Bologna - per rendersi conto dell’abisso stilistico che separa e tiene
insieme i due artisti, allo stesso modo del legame esistenziale e creativo,
spezzato e mai interrotto, al centro della mostra bolognese nella presente
scelta curatoriale . Il ritratto dipinto da Khalo molto più ridotto nelle
dimensioni si vuole intimista e attento al dettaglio, focalizzato in primo
piano sul viso della donna per escludere tutto il resto della figura:
analitico, introspettivo tanto da rappresentare quasi un alter ego della
pittrice assumendone l’intensità e la pregnanza del volto, i tratti
marcati, la medesima fierezza e dignità dello sguardo. La versione dipinta
da Rivera, al contrario, nelle dimensioni molto più imponenti tanto da
occupare un’intera parete, magnifica il modello, la seduzione e la bellezza
del corpo femminile attraverso uno sguardo esterno che rende omaggio alla
donna oggetto di seduzione come presenza iconica, glamour, amplificata
quasi sulla parete in estensione anziché in profondità. Tale la distanza
stilistica che separa la pittura dei due artisti.
Come appare dalla mostra, la pittura della Kahlo è un ritorno ossessivo e
seriale sull’autoritratto nel corso di una vita, ora esorcizzando nella
figurazione di sé momenti o eventi dolorosi, tragici o patologici
dell’esistenza ora, per sublimare una bellezza, un’espressività e uno stile
fuori dall'ordinario. La sua arte si presenta, in ogni caso, come una
pittura dell’interiorità contrassegnata, tuttavia, da una profonda
“americanidad”, quell’appartenenza e impronta all’anima e alla cultura
messicana nelle sue molteplici commistioni indigene, ispaniche e coloniali.
Il lavoro di Frida in stretta sintonia con quello di Rivera si situa
all’interno del movimento di “Rinascita Messicana” tra il 1920 e il 1960,
parte di quel gruppo d’ avanguardisti post-rivoluzionari tra i quali
Rivera, Siqueiros, Orozco ecc.. denominati appunto pittori “muralisti”. Pur
nella sua aperta rivendicazione di un attivismo politico a favore del
rinnovamento del paese e, successivamente di un’ideologia comunista in
Messico, la Kahlo si allontana inesorabilmente dalla concezione di un’arte
pubblica, collettiva e popolare al servizio della rivoluzione che, come
voleva Rivera, svolgesse una funzione politica e sociale di consapevolezza
per tutto il popolo. Perché, la dimensione intorno alla quale si dispiega
tutta l’opera di Frida nel corso di una vita è quella dell’esistenza
stessa, nel suo attaccamento viscerale alla medesima sotto il segno della
sofferenza, dall’infermità fisica e dei ripetuti drammi personali con gli
esiti dolorosi o patologici che ne conseguono. Di qui la pittura è per
Frida dagli esordi carta traslucida e riflettente di adesione e messa a
distanza del sofferente vissuto , mappa figurativa del proprio corpo,
strumento e via privilegiata di “trasmutazione del dolore in bellezza”,
infine un modo per esprimere, dare continuità, o meglio riversare la
densità amorosa e conflittuale della relazione a Rivera in molteplici
figurazione di sé dentro la forma dell’auto-ritratto.