Agape, La Vita Felice - Una collana di poesia che parte dal dono
Àgape
o agàpe (dal greco ἀγάπη, agápē, in latino caritas) significa amore
disinteressato, fraterno, smisurato. Non poteva essere più indovinato il nome di una collana di poesia per La Vita Felice! Il movimento amoroso mostra il
legame tra Eros (desiderio di possedere l’altro) e Agape (dono senza interesse andando verso l’altro) intesi come la duplice visione del sentimento per
eccellenza. Agape è lo spazio poetico in cui coincidono e si riconoscono le intimità dei soggetti che interloquiscono con i lettori/fruitori di
poesia contemporanea. Vengono utilizzate energie vorticose che riescono a scandire, nelle parole versificate, giochi con i valori concettuali e con le
regole semantiche così da potersi meglio districare, con maggior consapevolezza, dai grovigli esistenziali.
La curatrice è Diana Battaggia, Responsabile per la Poesia LVF, che ha presentato, in due anni di lavoro, circa sessanta voci contemporanee, più o meno
emergenti, capaci di sviluppare, nei propri elaborati, diverse tematiche che utilizzano il relativismo dei significati e la dimensione
incongruente/disomogenea del mondo. Come un’unica voce risuonano le coscienze di alcuni autori, pubblicati in questo fine anno, che, come cavalieri
medievali, avanzano nel sogno.
Il bisogno autentico di decifrare il reale, facendolo divampare dalle passioni amorose (Linguanìa, Fausto Nicolini) spinge l’autore a versificare attraverso il sentimento affascinando il lettore con scene amorose urgenti e
centrali. Soprattutto spera di mitigare la paura della solitudine e dell’abbandono riproponendo la posizione interrogativa di fronte a una storia che
finisce: le domande, seppur indirette, sono rivolte a se stesso o a una ipotetica compagna di strada, oppure a noi, anonimi lettori, a cui l’autore rivolge
l’utopia di un evento intimo, forse mai consumato.
La solitudine è il passo nella direzione sbagliata
è la parola sussurrata a un cuore inopportuno
è il silenzio che usiamo per una fuga affrettata
e il chiasso che invade il pensiero di ciascuno
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Per te ho rubato una poesia
nascondendola nella mia
solitudine. L’ho riscritta
con l’inchiostro fugace del silenzio
a margine del vizio
per non turbare
il sonno evanescente dei poeti
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Passeggiando di notte
sul taglio dei tuoi occhi
non penso più al domani
di cui osservo già l’affanno
sul fresco sguardo di mio figlio
Da tempo ho dismesso
l’abito del vorrei essere
ma conservo ancora le scarpe
che trattengono il passo
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... e dopo, nel magma, s’incontra il Senza
nei labirinti privi di sorrisi
dove il distillato dell’uomo
s’imbatte nei ricorsi d’una storia
scolpita tra i bastioni della mente.
Sopravvive la memoria che scorre
limpida
nel letto del fiume delle parole
scritte che non possono più fermarsi
«come fosse la lingua che parlasse»
crocefissa al legno dell’incoscienza