Venerdì, 18 dicembre 2009
Imperfetta Ellisse non fa in genere rilanci editoriali, al massimo recensioni e/o note critiche a cura dell'unico redattore, cioè io. Faccio però volentieri un'eccezione per Luigi Di Ruscio che mi ha inviato la prima pagina e la copertina del suo ultimo romanzo "Cristi polverizzati", a cui, per la stima che ho per il suo autore come poeta e uomo,(per intenderci è uno che può dire di sé tutto tranne che "perdevo tempo con poesie che sembravano macchinette verbali produttrici di
niente"), faccio i migliori auguri di successo.
 CRISTI POLVERIZZATI
l’individuo è la forma assoluta, vale a dire è la
certezza immediata di se stesso ed è quindi, se si preferisce questa
espressione, incondizionato essere. G. W. F. Hegel, Prefazione alla
Fenomenologia dello spirito
Parto difficilissimo, spesso si nasce venendo
stritolati, lo shock dell’aria freddissima rispetto al calore del ventre
materno, la luce vivissima, i rumori assordanti, la poesia retrocede verso la
prima angoscia, potevano immaginare che l’elettroshock rimettesse le cose al
loro posto perché era come se lo shock iniziale si ripetesse, l’angoscia di
rimanere rinchiusi in un ventre per sempre, l’essere che dilegua nel nulla è il
passare e morte, il nulla che dilegua nell’essere è il sorgere e la nascita, la
morte è un ritornare nella condizione prenatale, quando ero il niente che viveva
il niente e di questa condizione mai nessuno si è lagnato. Certi nascono da una
vagina apertissima ed escono come imperatori dalla porta sacra tutto oliato e
pronto per l’esposizione. Certi come ghigliottinati e fucilati morivano al
centro di un festoso cerimoniale. Ero immerso nelle acque fetali, sono immerso
in questa acqua sociale. Certi con rendite stupefacenti morivano torturati da
costosissimi interventi chirurgici, straziati da speculate operazioni
chirurgiche, certi muoiono agli angoli delle strade avvolti da una calma
stupefacente. Siamo nati e poteva anche non nascere niente, una volta mia moglie
mi disse che non dovevo disperarmi tanto, noi siamo nati e tanti neppure
riescono a nascere. Mi è stato raccontato che prima di nascere eravamo nel
pensiero d’Iddio, poteva non nascere niente, non facciamo confusioni tra il
niente e il vuoto, il niente non può essere neppure riempito. Il niente può solo
trapassare nell’essere più spettacoloso. Oppure come nelle bellissime
svalutazioni quando milioni si tramutano in milioni di niente. Mia moglie
rimaneva continuamente incisa, incinta, nonostante che non facevo che adoperare
gomme di tutti i tipi conosciuti e pensavo di chiamare la mia ultima raccolta
dentro il ventre del mostro, chiuso per sempre nella società dello sfruttamento
e dei mangiatori di uomini. Gli eletti, i migliori si divertivano in bellissimi
massacri, se non appartieni al popolo d’Iddio sarai prima o poi un assassino, se
appartieni ad un popolo separato sarai prima o poi assassinato, così vedevo le
cose ed invece era tutto più complicato e terrificante, non è detto che la
vittima sia una persona per bene, tante volte prima d’ammazzarli li abbrutiscono
e perdevo tempo con poesie che sembravano macchinette verbali produttrici di
niente. Tentare di cambiare il mondo con una forsennata scrittura, anche questa
cazzata ho immaginato, a Milano perfino l’aria è diventata pericolosa e pensano
alle poesie, per la mancanza di aria respirabile non ci saranno proteste,
potremo agitarci solo per i mali immaginari. Nonostante che mai ho avuto un’auto
e spengo a sproposito i radiatori e non consumo neppure l’energia della dinamo
della mia bicicletta. Siamo tutti peccatori e il miracolo della vita in questo
pianeta non è cosa eterna e un miracolo sarà necessario per la sopravvivenza
degli insetti più corazzati e il sottoscritto inabile in tutto può permettersi
il lusso di scrivere le poesie. Francesco invece era abile in tutto con mosse e mossette incantava le
ragazze e neppure quelle tra le più sceme, bravissimo a scrivere
articoli per la “voce adriatica” detta putreatica, come un fulmine
curava i guasti dei rubinetti e dei televisori, anche le strabiche
erano affascinate da un simile portento bruno ricciuto. Ma caro
Francesco, dicevo io, ma lascia perdere le poesie, scappa da questo
mondo cretinetti dove non hanno fatto che analizzare le situazioni
meteorologiche, dove non hanno fatto che piangere per l’immaginario e
il male vero è restato indicibile ed io che ormai vivo ad Oslo mi
preoccupo dell’aria di Milano e magari i milanesi scriveranno episcope
o epistole sui denti sacramentali oppure sui santi sacramenti e
Mariella mi scrive epistole segrete e Noventa scrisse che la poesia è
un modo d’essere e non un modo di fare. Basta con tutte queste cagnare
per il problema della grazia. Siamo tutti condannati e persi e le
poesie di Francesco erano oltremodo schifose, di tutto si accorgeva il
Francesco ma non dell’orrore che scriveva così facilmente. Io ero uno
di quei tipi che si sente ebreo tra i palestinesi e palestinese con gli
ebrei, un bianco tra i neri e un nerissimo tra tutti i bianchi di
colore. E giovanissimo come ero mi prendeva grandi smanie di partire.
Fermo mi diventava una trappola dentata, non facevo che sognare le
fughe ero inseguito da un orrore tanto terrorizzante che mai sono
riuscito a voltarmi per vedere che razza d’orrore m’inseguisse. Sognavo
l’invisibilità e mi ripetevo quelle storie di Hegel dell’essere che si
tramuta nel niente e del niente che diventa un essere in carne ed ossa.
Fughe a precipizio e senza soste, tante volte avevo paura di non
potermi più risvegliare da simili orrori come se per sempre il sonno mi
avesse intrappolato. Luigi Di Ruscio, Cristi polverizzati, a cura di Andrea Cortellessa, Firenze, Editrice Le Lettere, Collana “Fuori Formato”, 2009.
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