Domenica, 3 giugno 2012
Cantico di sta si. Canto di una cesura, di un rallentamento, di un flusso emozionale che sbocca in una pozza però non immota perchè il dolore, la morte, la mancanza delle persone amate, la fatica del dire tuttavia non si placano, la lingua ancora si torce (come la trottola spesso presente) in lunghe spirali metaforiche e simboliche che si aprono in bagliori di senso, in vere rivelazioni di insospettati accostamenti. Marina Pizzi conferma il suo personalissimo stile, con tutte le peculiari caratteristiche a cui ho accennato più volte su IE (v. il tag QUI) e con una intatta fiducia nella (o con un accorato appello alla) capacità plastica ed evocativa della lingua, del suo suono, dei significati che ad essa appartengono, perfino quelli "segreti" che lo stesso canone della lingua ad essa non assegna. Eppure, in questa conferma tutt'altro che statica, riconosco - quanto meno nei testi che ho scelto - un movimento, una diversa tensione come di bisogno di riappacificazione, una certa musica, anche metrica, non proprio usuale per Marina, una certa vena lirica. Che non so se l'autrice coltiverà o rigetterà come una "debolezza", se la riterrà o meno funzionale a quel potenziale analitico (o se volete catartico) che Marina credo annetta da sempre alla sua scrittura e che mi auguro trapassi in pieno ad un lettore accorto.
4. così si dice pianga la lucciola quando la manna si fa spazzatura presso la porta dorata del folletto. il bimbo gioca a se stesso da piccolo ma non lo sa e non è felice appieno. si sa che è uno zero lunatico questo tuo perno senza cibo sfinito nella ruggine. nella sabbia che fatica le staffette corre la fiamma a cercar di amare le zuffe di ferrosi amanti. in un duetto di fragole di maggio invento le gole di fratelli golosi così noiosi da sembrar gemelli. l’arena di truppa non fa finir la guerra né la buona cucina invita qualcuno per esorcizzare il rantolo. la pagnottella con il prosciutto è leccornia da altare. tu inventa una steppa che sappia grilli parlanti come le gemme delle favole. dividi con me questo cimitero acquatico di fuoco. io non voglio chiamarmi più marina né in altro modo.
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