Uno dei rari casi di esordio
col botto, quello di Bruno Galluccio. Non solo la sua opera prima esce
con la "bianca" di Einaudi, ma con essa vince la 53.ma edizione
del prestigioso Premio Pisa 2009, notizia di poche settimane fa. Quando Bruno è
venuto a ritirarlo, per circostanze varie non l'ho potuto incontrare, ma è
stato così gentile da selezionare qualche testo non già presente in rete da
pubblicare sul blog. Lo ringrazio.
Da questi testi, come da altri presenti altrove, forse non è possibile ricavare
un'idea completa del libro. Tuttavia qualche impressione di carattere generale
ne consegue, per quanto parziale possa essere. Spero che Bruno non me ne vorrà.
Libro molto
"geometrico" e in un certo senso matematicamente pensato, questo
"Verticali" (Einaudi 2009) sembra risentire molto della cultura
scientifica del suo autore, cosa rilevata da più parti. E' curioso: è il
secondo fisico/poeta che mi capita di leggere, dopo Giovanni Catalano, anche
lui su questo blog (v. qui). Come se la scienza avesse esaurito il suo
tentativo positivista di leggere e interpretare il mondo (o almeno di provarci)
e esperisse un altro linguaggio, quello poetico, ritenuto forse più capace
almeno di connotarlo a pennellate più ampie e vaghe, meno molecolari (percorso
che del resto avviene anche con la filosofia). O forse, come sospetta
qualcuno, come se tutto il repertorio linguistico, terminologico o
anche solo concettuale della scienza, così a portata di mano, fornisse il
pretesto o la tentazione di provarci (questa volta sì, davvero) a rinnovare il
linguaggio poetico medesimo. Certo l'ideale sarebbe che, in questa
immissione, certa terminologia (ma metterei l'accento più sull'apparato
concettuale, l'habitus mentale) assumesse una valenza metaforica a scapito
della sua connaturata carica denotativa. Cosa che spesso riesce, in alcuni
testi, come (v. qui sotto) nella bella "mio padre al limite
dell'azzurro". Mentre in altri, per dirla in termini
"wikipediani", dovrebbe guadagnare in "ambiguità",
altrimenti si rischia un effetto di accumulazione straniante ed
an-estetico, come nella poesia "un punto si muove lungo una curva
sghemba" (v. più sotto, ma anche la poesia di copertina). Ma il problema
(sto parlando in via generale) non è tanto questo, quanto quello di far
corrispondere il linguaggio (inteso in senso lato)ad un'idea ad esso sottesa.
Nel caso di Catalano, ad esempio, l'aspirazione o meglio il tentativo era
di riproporre la realtà di tutti i giorni appoggiandosi ad una
"indeterminazione" di matrice heisemberghiana. In questo senso sono
d'accordo (e - ripeto - la cosa riguarda una pluralità di autori) con chi
sostiene che "l’originalità si ferma però al di qua della lirica, non la
trascende, non si traduce in sistema filosofico e, in sostanza, non va oltre la
lezione del Novecento" (M. Zola, in una recensione al libro). Per la
verità quest'ultima cosa, cioè non andare oltre la lezione novecentesca, non è
un problema, dato che superare poeticamente il "secolo lungo", come
lo ha definito Sanguineti, non è riuscito ancora a nessuno. Il punto,
semmai, è se quella eredità (lirica o meno) viene ulteriormente
"raffreddata" o depotenziata da uno sguardo che si rivolge alle cose
e agli eventi in maniera appunto "scientifica", fenomenica. Tuttavia
l'approccio di Galluccio (e anche di Catalano) offrirebbe non pochi agganci per
una riflessione più analitica, ma anche più poetica, più "pietosa"
sulla realtà, sopratutto se, proprio partendo dalla asciuttezza di
un'opera prima, si pigiasse di più sul pedale emotivo, emozionale, psicologico.
In questo senso, al di là dei risultati conseguiti, questo libro deve essere
considerato, anche dal suo autore, assolutamente un punto di partenza. (g.cerrai)