Personalmente ritengo che la poesia (o la letteratura, o qualsiasi altra cosa) di "genere", es. gay come in questo caso, contenga in sè una limitazione autoinflitta, esattamente come il politicamente corretto. Quella di costituirsi un'enclave di difesa (del genere, appunto) e di arenarsi (a volte, non sempre) sul dato biografico in generale e in particolare su quello del conflitto e dell'esperienza (sessuale e del corpo in primis), contemporaneamente suggerendo un limite di critica a chi legge. Come se non fosse possibile parlare d'amore, anche radicale o estremo, a prescindere dall'appartenenza al "genere". In questo modo i fattori primari dell'esistenza prendono il sopravvento (come dice Colombi il sesso attira e contiene tutto in sé). Ma se per un momento proviamo a leggere molte di queste poesie senza pensare al genere, o a nient'altro... (g.c.)
A volte l’io lirico modella il tema dell’istinto e dell’animalità e la loro relazione col sesso (in “ascolto il linguaggio del tuo / sonno”). L’ambivalenza di questo tema costituisce per Mozeti?c un importante spunto poetico. Nelle sue opere istinto e animalità sono associati al desiderio della natura vista come spazio per un (forse impossibile) modus vivendi libero e sano (in “che legami stai creando, e quali”), altre volte si legano alla rappresentazione della violenza come momento fondamentale dell’attrazione e della pratica sessuale (in “nella cella c’è una sedia libera, di legno”). L’esperienza del sesso si contraddistingue per una grande multiformità. Come una calamita, il sesso sembra attirare tutto a sé e poter contenere tutto in sé: gioia, sollievo, purificazione, dolore,morte, spleen e noia.(..)In queste poesie la fusione tra mitezza e violenza, azione e passione è molto stretto e al contempo mutevole. Sia nelle prime poesie sia in quelle più tarde e narrative si può rilevare una tendenza di fondo: la forza della natura può sì fare violenza all’uomo,ma ciò accade in un contesto che pare ancora organico e, previa accettazione dell’esistenza del dolore, armonico. Sebbene per nulla idilliaco, il contesto della natura ha tuttavia una sua serenità che permette a volte l’ironia. La città stravolge invece l’armonia e l’organicità del dolore e genera scenari allucinati e carichi di fratture. (Matteo Colombi)