Martedì, 17 luglio 2012
Voce di una diffusa koiné mediterranea, voce antica e quindi ancestralee insieme nuova e vivace,
che ci assomiglia legata com'è ad antiche radici, retaggio forse di una
lingua comune di naviganti che procedevano da isola ad isola per salti
di mare, lingua che ci è parente perchè parente dell'antico toscano,
del capraiese, giù sfumando fino alle propaggini settentrionali della
Sardegna, per arenarsi forse in qualche relitto del siciliano. Arcaica
quanto basta per ridarci un sapore di elementi primari e forze primordiali e quindi della nostra infanzia di uomini, ricca di eco e
fascino, marcata da un orizzonte insulare visto però da lontano, da
campi pieni di asfodeli e solcati dai fiumi dell'interno. Con questa
lingua Norbert Paganelli compone una poesia nobilmente lirica, in cui l'io si
ritrae, come attonito e grato per quel che della natura riesce a godere
come un dono, senza sentire il bisogno di eccedere nel linguaggio, di
abbandonare quella semplicità essenziale che è della natura stessa, con
un pizzico di elegia che contribuisce anch'esso ad un tono di
malinconica nostalgia per la vita, di perplessa attenzione per i segni
delle stelle, dell'acqua, delle api, insomma per un destino e le sue
ombre insondabili che neppure uno sciamanico lancio delle ossa riesce ad
illuminare. (g.c.)
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