Mercoledì, 11 settembre 2013
Certo non voglio contrapporre in maniera ideologica (e anche stupida) morti a morti, 11 settembre a 11 settembre. Di tutti dobbiamo avere pietà, anche dei carnefici. Ma sarà colpa dell'età, sarà per via dell'emozione profonda e la rabbia che mi dettero anche quegli avvenimenti di quaranta anni fa, sta di fatto che per me ci sono altri 11 settembre da non smettere mai di ricordare. Uno di questi è la caduta di Salvador Allende (v. QUI) e delle speranze democratiche del popolo cileno, l'11 settembre del 1973, un anno abbastanza movimentato (tra le altre cose, ma guarda tu le coincidenze, il Vicepresidente Spiro Agnew si dimise per via di una storia di evasione fiscale!). Pubblico qui di seguito una poesia dedicata a Allende di Francesco Masala, detto Cicchittu, scrittore, saggista e poeta in lingua sarda e non solo, tradotto in spagnolo, croato, russo, ungherese, francese, polacco e portoghese, vincitore negli anni '50 del Premio Deledda e Chianciano, giornalista e romanziere edito da Feltrinelli.
Vi consiglierei di leggere, su questo blog, anche "Il maratoneta di Allende" (v. QUI)
Subra sa losa de Salvador Allende
Mi ana mortu sos gorillas de Santiago, mi ana mortu sas municas de Valparaiso, mi ana mortu sas segnoras de Viñadelmar, mi ana mortu sos proprietàrios de Antofagasta.
In nùmene de sa Patria e de Deus, mi at mortu unu generale in caramella, lùghidu-istivale, unu generale cagafusos, decoradu de medàglia de merda, in nùmene de Deus e de sa Patria.
Como so goi, suttaterra, cun sa cara mandigada dae sas ballas de unu generale cagafusos, subra su coro, unu paiu de lùghidos istivales, intro sa conca paschet unu erme ’e generale.
Accurtzu a mie est interrada una etza pobladora, tia Frantzisca Ferrale, sarda e cilena, morta de fàmine: bona zente, no preghedas pro nois, diat essere s’ùrtima ostra istùpida irgonza.
Ahi, Cile meu, petza-de-pê de su Generale!
SOPRA LA TOMBA DI SALVADOR ALLENDE
Mi hanno ucciso los gorillas di Santiago, mi hanno ucciso las momias di Valparaiso, mi hanno ucciso las señoras di Viñadelmar, mi hanno ucciso los terratenientes di Antofagasta.
In nome della Patria e di Dio, mi ha ucciso un generale in monocolo, lucido-stivale, un generale cacafusi, decorato di medaglia di merda, in nome di Dio e della Patria.
Ora sono qui, sottoterra, con la faccia divorata dalle pallottole di un generale cacafusi, sopra il cuore sta un paio di lucidi stivali, dentro il teschio bruca un verme di generale.
Accanto a me è sepolta una vecchia pobladora, zia Francesca Ferrale, sarda e cilena, morta di fame: gente, non pregate per noi, sarebbe l’ultima vostra stupida vergogna.
Ahi, mio Cile, pezza-da-piedi del Signor Generale!
(versione italiana di Francesco "Frantzsiscu" Masala)
Dalla raccolta “Poesias in duas limbas – Poesie bilingui”, Scheiwiller, Milano (2° ed. 1993, 3° ed. 2006 per i tipi de Il Maestrale di Nuoro). Testi tratti dal sito "Canzoni contro la guerra" (http://www.antiwarsongs.org/), che ringrazio.
Giovedì, 11 settembre 2008
Certe memorie scacciano altre memorie. E' un fatto culturale, come certe culture scacciano altre culture, perchè sono più forti, perchè sono più mitizzate, o hanno un miglior ufficio stampa, o forse perchè diventano più "collettive" nell'immaginario della gente, magari rappresentando una paura più grande, almeno per un pò. L'11 settembre nella testa della gente è, per forza di cose, uno solo, per le emozioni e il dolore che richiama, ma anche perchè in molti modi è stato statuito che l'11 settembre è "quello". Poi anche le memorie più "pesanti" incominciano a sbiadire, forse perchè sbiadiscono le emozioni o i timori ad esse collegati, o forse perchè si scopre che Ground Zero sta diventando il simbolo solo della speculazione edilizia. E dopo sette anni ricordare l'11 settembre 2001 è diventato una ricorrenza giornalistica buona per riempire un pò di spazio, molto di più di quello che occupa nella memoria della gente comune. E allora proviamo a ricordare qualcosa di più lontano nel tempo, un undici settembre anche questo, ma di trentacinque anni fa. Una memoria in nome della quale non è mai stata scatenata nessuna guerra.
Il maratoneta di Allende
La storia di Ivan, il tipografo che amava correre con la maglietta «Salvador Allende per sempre». Poi il golpe militare, la tortura e la morte
Eravamo giunti al terzo caffé, e all'ennesimo sigaro. Cubano il suo, brasiliano il mio. Rivedevo Julio dopo quattro anni. Stessa pioggia battente, Santiago che sembrava il solito film in bianco e nero, quel bar al quartiere Providencia avvolto dal nostro fumo e dalle nostre parole. 1995, luglio. Eravamo partiti da Pinochet e dalla sua finta demenza. Per arrivare all'11 settembre 1973, a quando finì il sogno di Allende e cominciarono le violenze, gli omicidi, gli stupri, di quando il Cile era un fiume di sangue, di disperazione, di ingiustizia.
Julio aveva perso i suoi amici più cari, la fidanzata. Riuscì a salvarsi per caso, passando il confine dopo mille peripezie e cercando di sopravvivere al dolore a Rosario, in Argentina. Nel '90 il ritorno a casa. La voglia di ricominciare a vivere, malgrado tutto.
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