Quattro poesie di Enrico Pietrangeli, romano, inviatemi da Francesco De Girolamo. Quattro poesie decontestualizzate, come quelle che mi fece avere Francesco (v. post qui sotto), e disperse nel tempo. Come tali da leggere come se si aprisse un livre de chevet, la sera prima di andare a letto, cercando di farsi un'idea dell'autore partendo dalla pura lettura. Non è un problema in realtà, perchè c'è un'abitudine diffusa a fare questo: siamo nella assoluta normalità della stragrande maggioranza della poesia italiana, che è per lo più definibile come "rapsodica". In altri termini, una poesia che coagula momenti o, per dirla con Montale, "occasioni", porzioni di vissuto che il poeta comunica al lettore, raramente approdando a una struttura complessa che abbia bisogno di un inizio e una fine della lettura. E' per questo che è possibile leggere una poesia come "A M.C. II° parte" (con il suo passo lungo, la sua ironia, la sua aria ispirata) senza conoscere un'ipotetica "prima parte" (che in realtà esiste). E' bene chiarire che non c'è nessuna valenza negativa nel termine "rapsodico", è la semplice constatazione di uno dei caratteri della poesia italiana, come, ad esempio, l'amato/odiato "io lirico". E' evidente quanto spazio ci sia, in questo carattere frammentario, per una forte presenza lirica: la prima persona, qui, è presente dappertutto (ed è perfino pleonastico segnalarlo), in varianti diverse. Il punto è semmai del suo utilizzo, quale materia poetica si gestisca con questo essere presente. Nel caso di Pietrangeli si tratta, citando proprio De Girolamo, di "un vissuto denso ed emblematico" non emotivo, ma neanche, direi io, mimetico, tanto è vero che il linguaggio scelto è quello di tutti i giorni, immediatamente comunicativo,senza fronzoli nè nessuno dei particolari marchingegni poetici, che restituisce un forte senso di autenticità, di esperienza "non per sentito dire", come nel "Ricordo di Ungaretti" (chi ha come me qualche anno se lo ricorda bene, e con nostalgia). C'è insomma un linguaggio impiantato nella realtà e scelto per un livello paritario di comunicazione con il lettore. Certo il meglio di sè, per lo meno dal mio punto di vista, Pietrangeli lo dà sul versante dell'esperienza più strettamente privata, legata al corpo e ad un sentimento laico del corpo, del sesso "privo di grazia alcuna" (ma liberatorio - e un pò anni '70 -), della materia in genere, una sublimata concretezza. Anche quando parla del tempo, in termini moderatamente metaforici, Pietrangeli "materializza": il tempo sbatte in faccia, lubrifica porte, fa stridere, frantuma, infine si concretizza in incrostazioni di polvere. Anche l'anima, quando sembra librarsi in qualche modo, ha bisogno di odori/memoria, e saranno gli odori a rivoltarla come un aratro. Si percepisce al fondo di questa poesia una cultura anche complessa, a volte vagamente nostalgica. Ma sopratutto, meritoriamente, c'è direi un'assenza del postmoderno, senza nessun ammiccamento, nessun riuso di luoghi comuni, nessuna finzione. Naturalmente queste sono scarne osservazioni sui testi qui presenti, per quello che possono rappresentare l'autore. Pietrangeli ha ben altre caratteristiche e altri registri, come è possibile riscontrare leggendo la sua raccolta "Di amore, di morte", reperibile in rete.
Enrico Pietrangeli, autore della raccolta di poesie "Di amore, di morte", pubblicata in versione cartacea (Teseo editore 2000) ed in elettronica (Kult Virtual Press 2002), collabora con riviste e siti internet pubblicando articoli e racconti brevi. Attraverso la traduzione poetica, si è dedicato all'opera di alcuni autori poco conosciuti. Redattore di Tam Tam, gestisce il sito "Poesia, scrittura e immagine" [www.diamoredimorte.too.it] e, recentemente, ha pubblicato il suo primo romanzo "In un tempo andato con biglietto di ritorno" (Proposte editoriali 2005)