Nell'affrontare la lettura dei testi di Alivento, alcuni dei quali pubblicati qui, dobbiamo rinunciare a qualsiasi dato di tipo biografico o culturale, per via della sua impenetrabile riservatezza. Non sappiamo niente di lei, tranne che scrive poesie, la maggior parte delle quali reperibili sul suo blog Mar'ombra (marombra.blogspot.com). Non e' detto che sia uno svantaggio. Basta forse (partendo dalla consapevolezza che e' impossibile non comunicare) accettare il tipo di rapporto comunicativo che lei stessa ci impone, che non e' solo questa scelta "privata" (io sono quello che scrivo), ma deriva anche, leggendo, da una sorta di "preminenza" della scrittura nei confronti del lettore, implicito, ideale o reale che sia.
Un prima lettura di superficie ci restituisce infatti l'impressione di una poesia esistenziale, una riflessione scritta che in parte esclude un ipotetico uditorio, anche se, e' interessante notarlo, questi testi (non tutti) sembrano scritti apposta per essere recitati, come vedremo piu' avanti. Il materiale poetico prende sempre le mosse da un io presente,che l'oggetto della riflessione sia il rapporto interpersonale o l'amore o che sia uno sguardo sull'ambiente circostante o sul farsi stesso della poesia. In ogni caso pero' l'esperienza e' sempre calata in uno scenario freddo e distante, addirittura chimico o minerale. Sono fittissimi i riferimenti in questo senso: latta, squame, piombo, gomma, idrogeno, antracite, atomo, azoto, cemento, ferro, ossigeno, mercurio; termini scelti, credo, non solo per il loro significato immediato, ma anche sopratutto per quello secondario di icona drammatica e dura e di elemento fonico. In questo mondo percepito si svolgono i fatti poetici, costituiti essenzialmente da tentativi di accostare una realta' a volte difficile da interpretare, a volte apparentemente abitabile, come nella poesia "Quando piove", dove c'e' l'aria leggera degli ottonari a descrivere un quadro naturalistico che ha pero' qualche motivo di inquietudine ("una donna sull'uscio / rammenda cose fosche / di tempesta a punti fitti fitti"). Se il mezzo principe per interpretare la realta' e' per tutti noi il linguaggio, per Alivento esso e' anche, in maniera forte, significante in se', elemento pittorico, fonico, ritmico, proprio nel momento in cui la parola sembra venir meno. La poesia "Idro", una delle migliori di questa piccola silloge, e' in questo senso emblematica: se esordisce con la constatazione di un possibile fallimento ("Penso che ogni tanto la parola / perda i sensi..."), parte proprio da questa perdita di senso per dimostrare un'altrettanto possibile rivincita attraverso il suo riuso. E lo fa con grande maestria, utilizzando la lingua, ad esempio, nelle sue componenti foniche, fino al livello del singolo fonema. Basta leggerla per rendersene conto: "...perda i senSI / SI Sfinisca di Suonare / il proprio oScuro Suono / SVEnga di VErgogna...". Oppure in "Mutante": "...deRaglieRanno i tReni e la Ruggine / RaschieRa' le scoRte di feRRo dai vagoni". Altrove, come in "Libera di senza" e' il gioco delle assonanze e dei rimandi semantici a dare il passo, il senso, il ritmo: "Altro si confonde dentro / e gli occhi vanno in vago / giro tristi e sento in vitro / vuoto peso involto tetro...". E' questo uno dei motivi per cui parlavo di vocalita', di recitabilita' di queste poesie, insieme, se vogliamo, all'assenza di punteggiatura che libera il verso in infiniti enjambements e legature a piacere. Certo a volte Alivento indulge al gioco che rischia, se non controllato, di travalicare dai suoni ad associazioni non sempre funzionali al discorso, segnando in qualche modo una discontinuita' stilistica, come in "Asindeto", ma questo e' il male minore in una poesia densa ma comunicativa, potenzialmente in evoluzione, sopratutto sulle tematiche meno private, a partire da quella che a me sembra preminente, cioe' della collocazione ("questo nostro essere / stretti / sempre piu' rarefatti"); dell'identita' del poeta ("interrogare / dove sia il mio io / il mio cartello il mio dio") e dell'identita' della parola e del suo senso, come abbiamo gia' visto, in questo mondo dove forse "vivere e' lo stesso / di aspettare al molo l'infinito / una nave che non ha risposte". Che poi e' una delle possibili ragioni d'essere della poesia. (g.c.)
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