Non sappiamo chi sara' il Poeta, italiano o straniero, del terzo millennio. Ma chiunque si accingera' alla sua esegesi, dovra' fare a meno, temo, del supporto delle varianti, antico strumento della critica. Il perche' e' ormai ovvio ed e' legato alla trasformazione degli strumenti di scrittura, in un ciclo vitale che, non essendo giovanissimo, ho potuto sperimentare di persona, passando nel corso degli anni dallo scritto al dattiloscritto al digitoscritto (se mi passate il neologismo). Qualcosa per forza cambia quando si passa dal foglio a quadretti del liceo alla gloriosa Lettera 22 (che ho ancora) e poi alla stampa laser autoprodotta, e cambia non tanto nel prodotto finito, quanto nelle tracce che il prodotto finito lascia dietro di se'. Mi ritrovavo in questi giorni, leggendolo, nell'articolo di S.Guglielmin su L'Attenzione di Ottobre: "mi metto davanti al computer, in silenzio, libero da legami con il mondo. (...) qualcosa che frulla in testa. Frammenti, di solito, specie di calcoli mentali e corporali insieme(...). Di solito, in principio, esce poco e male: esce il mondo gia' parlato, escono le domande gia' sentite, le paure, le rabbie. Io pero' insisto, se insisto, altrimenti resta materiale inerte, forse per sempre. Ho un file dove raccolgo questo materiale: scarti spesso irrecuperabili. Se invece insisto, qualcosa esce, cioe' si da' una forma (...). Se capita, dico a me stesso: ecco la poesia. La stampo, la leggo, la correggo a penna, digito la variante, la ristampo, la ricorreggo...". Ho riflettuto spesso su questa esperienza comune a chiunque scriva per arte, e lo faccia usando un computer. Soprattutto questa sedimentazione degli spunti letterari, che prima trovavano ospitalita' in foglietti sparsi, o in taccuini, e che ora si affastellano in "un file". E questo file, da cui si presume si traggano gli spunti per lavorarli, a sua volta sepolto nel computer stesso, come se l'ispirazione fosse ancora dentro il calamaio, o nella penna, cioe' nello strumento. La questione e' che la varianza si smaterializza, diventa privatissima, persa in fondo a qualche hard disk. Le tracce si fanno labili, proprio perche' la materializzazione del prodotto diventa totale ed esclusiva, se avviene nella stampa; o nulla o digitale, se avviene sul web. E' ovvio: ai tempi del foglietto o della Lettera 22, del dattiloscritto su cui si andava a lavorare di penna, lo scarto rimaneva qualcosa di tangibile ed andava ad assumere una sua storicita', se necessario a memoria futura. E' ovvio che il testo finito e' il soddisfacimento ultimo di una esigenza creativa dell'autore, ma il computer non lascia tracce, se l'autore decide di tagliare e incollare, sovrascrivere, cancellare nella maniera brutale e irreversibile che il computer permette: il testo rimane cristallizzato, salvo revisioni future per forza di cose marginali, in una sua forma senza tempo, in un certo senso apolide e senza memoria, se e' l'autore a scegliere la via piu' facile, quella che il grande Stravinskji chiamava la "strategia del comfort". L'alternativa per l'autore e' tentare in qualche modo di consegnare alla memoria (non solo quella del computer) la filogenesi del testo, registrando su testi successivi i passaggi, le correzioni, i ripensamenti, in una specie di fondo manoscritti digitale, simile a quelli esistenti presso alcune Universita', che a mio avviso e' utile in prima istanza proprio all'autore medesimo. Nel caso di pubblicazione digitale l'alternativa potrebbe essere l'ipertesto, ovvero un testo con collegamenti interni in grado di rimandare alle varianze, all'insieme dell'opus creativo. Al di la' di quello che ci riserba il futuro, la questione e' tutt'altro che peregrina: ad esempio senza il rinvenimento di documenti tangibili non si sarebbe potuto pubblicare un'opera secondo me di grande importanza come Yellow di A.Porta. E su questa esigenza fu attivato un progetto, Digital Variants, presso il Dipartimento d'Italiano dell'Universita' di Edimburgo (http://www.selc.ed.ac.uk/italian/digitalvariants/home.htm), che ancora continua pur con qualche rallentamento (particolarmente interessante qui il lavoro su Valerio Magrellli e le varianti da lui fornite). Insomma, rimane a mio avviso fondamentale il tracciamento del divenire creativo della poesia, la fusione di talento e lavoro. Chissa' che poi non serva per studiare il Poeta che verra'.
(L'illustrazione e' una sezione dattiloscritta con correzioni, risalente al 1962, di "Stings" di Sylvia Plath - Copyright 1982, by Smith College and the Estate of Sylvia Plath)