In
queste frazioni di tempo ci sono anche dei vuoti, come degli interstizi
nell'indice, nello scorrere di questa ipotetica giornata. Lo so, forse è
una acribia fuori luogo (o forse essa è parte dell'inquietudine che
questo libro suscita), ma viene da chiedersi che cosa è successo in
questi vuoti, che cosa ad esempio è accaduto negli undici minuti tra le
3.24 e le 3.35. Forse nulla, forse solo una sospensione del giudizio
poetico di fronte alle vicende, forse un tirare il fiato. Forse l'anima
ha pesato i suoi 21 grammi, come nel film di Alejandro
González Iñárritu. Ed è
singolare, sotto un certo profilo, in un diario diacronico,
cioè scritto dopo, questa attenzione al
susseguirsi puntuale del tempo. Come un voler rivivere, nel senso
letterale del termine, la registrazione di ogni singolo
momento.
Il tempo è quello dell'esistenza o almeno quello dell'esperienza,
racchiuso in un giorno. E poichè non possiamo riavvolgerlo, come uno
dei video dello stesso Massari, lo separiamo in brani, nel tentativo di
comprenderlo meglio ricostruendo, in senso bergsoniano, un processo
attraverso la memoria. Nel fare questo, inevitabilmente, il tempo
diventa qualcosa di diverso, tanto più nella mente speciale
dell'artista. Cambia perfino volto, compiuto il tempo della vicenda
narrata esso si trasforma, si separa: da una parte quello che resta "ai
vivi ancora vivi e incurabili" (in quando destinati anch'essi a morte),
dall'altra quello dilatato e immisurabile dei morti, quello memoriale
in cui , io autore, "ancora nell'impreciso tempo sopravvivo".
Anche il linguaggio segnala interstizi, diradamenti della scrittura
sottolineati tipograficamente, come quegli
spazi che si allargano tra i sintagmi, spazi a volte intuibili più che
correttamente identificabili nella linearità tipografica. Potremmo
intenderli come enjambements interni, come singhiozzi o chiasmi,
potremmo usarli a piacimento come il punto di Fra Martino o la sibillina
punteggiatura del famoso "ibis redibis non morieris in bello" di
Alberico. Ma la scelta ha una sua ragione nella caratteristica della
memoria di presentarsi per frammenti e per ripetizioni, cosa
quest'ultima che tra l'altro si riverbera in certi efficaci stilemi che
usa Massari, come incipit reiterati, assilli di domande ecc. Il tempo
si dispiega e si attorciglia, diventa un loop, o una figura topologica
come un nastro di Moebius, e paradossalmente si accumula.
dovevamo restare uniti. tu ricordi ?
dicevi urla qui sulla mia carne non uccidere non uccidere
nessuno
abbi pietà della nostra paura abbi pietà di te il mare che cerchi è
pieno di luce
e di nuovo:
dovevamo dividere tutto . tu ricordi ?
dicevi chiedi perdono solo al tuo corpo non sei più
figlio sei misura di sterminio
e in questo male intero totale mangia il mio respiro prendimi come
se fossi
il mio destino
e qualche pagina più avanti:
dovevamo morire insieme . tu ricordi ?
dicevi vieni da me restami dentro raccontami
tutto quello che insieme noi non vivremo
dimmi che non moriremo mai
che questa è la nostra notte e noi la raggiungeremo
e questa reiterazione, qui e altrove
(dovevamo...dovevamo...,dicevi...dicevi...) è segnale disperato di un
patto che la morte ha cancellato, come se la morte fosse una colpa
inappellabile e definitiva.
Del pari, l'impressione che il testo restituisce è anche quella di una
scrittura combinatoria, una vaga tentazione, che offre al
lettore, proprio approfittando degli interstizi, di smontare il testo
per poi ricomporlo come su piste audio separate eppure inseparabili. E
infatti questa scrittura è anche un dialogo continuo e serrato,
per quanto retrospettivo. Sembra di capire che tutti i testi o le parti
di testo in corsivo sono ascrivibili ad un'altra voce, ad un' altra
persona o forse ad un "altro" da sé, con cui l'autore dialoga, si
confronta, si scontra. Ma è anche un dialogo giocato sull'ambiguità: chi
è che parla, chi ascolta, scambi di ruoli, teatro.
Dal
gioco della parti in scrittura appare anche un terzo personaggio, la
morte, un personaggio parlante, niente affatto metaforico, un ospite
minaccioso ed inevitabile, che si presenta e avverte i comprimari:
sono il muro contro l'unghia figlia che gioca
continente e cantilena
e sogna e vede la paura dietro il letto alto nonostante il legno
il caldo
del padre a guardia inginocchiato a fare ombra forza storia
e più avanti:
sono storia la nuda madre la sana viscere e lana sono pane
conio bilancia olio sulla pelle dei primi strappata ai testimoni
conosciuta
alle croci sconosciuta alla morte addestrata
e ancora:
sono morte la chiara velocissima e immorale bestia feconda
festa cardinale acrobata superstite destino senza il male
sono il figlio tribunale e la madre altare muscolo visibile del vuoto
Anche
gli exerga, posti acutamente all'inizio di ogni sezione, assumono un
ruolo importante. Ad esempio questo di Milo De Angelis "nemmeno adesso
hai simboli per chi muore", perfetta definizione della morte dalla
parte del conoscibile, perchè (la morte) ha tutto in sé (syn
ballein), tutto racchiude, attrae e comprime come un buco nero
siderale, e essendo da questo punto di vista "chiara", come dice
Massari nei versi precedenti, ci sottrae gli strumenti per descriverla,
la stessa capacità di descriverla, di farne simbolo. Ed è
anche totalmente vera, infalsificabile, come ci avverte quest'altro di
Amelia Rosselli, "il vero è una morte intera" (ma, conoscendo Rosselli,
forse anche il contrario).
Di
questo essere-per-la-morte (quasi in senso heideggeriano) non c'è però
"cura", non c'è consapevolezza sufficiente ad accettare di essere in
questa temporalità devastante. Tutto il libro è percorso da quella che
Guglielmin chiamerebbe una "distanza immedicata" e perfino un rimpianto
nei confronti di un corpo che è stato oggetto di
amore ma anche luogo di effrazione, di infrazione, anche erotica, e
poi nulla. Una sua moralità, di insegnamento o di rimorso, o di
automoralità (tutto il tuo corpo pane bianco e inerme / tutto questo
mio sporco a cui acconsenti). Il campo di effrazione della volontà,
diventa campo di conquista del male. Con la sconfitta, risponde
l'anima: nascondiamo tutti un male vivente per sempre /
nascondiamo tutti una vita altra e qualunque. E il corpo perde
identità di persona (io ho un cancro e nessuno mi chiama
per nome) se non nella memoria di chi sopravvive
(sempre sei il mio credere ai vivi il mio errore sei la fede).
Concludo con alcuni testi, compresa una singolare Totentanz su un'aria dannunziana (p.35), tra i molti
molto belli di questo libro. Libro - aggiungo - che dà l'idea in un certo senso di un'opera definitiva per il suo autore, oltre la quale forse non è più possibile indagare poeticamente se non liberandosene, o utilizzando altri mezzi. Con una precisazione, che qualsiasi selezione si tragga da questo libro, essa sarà sempre straniante, vaga, e profondamente ingiusta. Per cui (e lo dico raramente) se volete farvi un'idea di questo libro, compratelo. E non sarà sufficiente leggerlo una volta sola, vi avverto. Poichè un libro di questo genere non è più pensabile "leggerlo" e basta. E non solo perchè sappiamo (chi lo sa) che il lavoro di Massari è ormai indistricabile dalla "visione", da una sorta di abitudine cioè a vederne una rappresentazione non solo meramente grafica e lineare, ma al contrario a più "piste" o tracce, o sensi, come appunto un video o - in altre parole - una partitura, la cui stampa è una registrazione di tempi e modi che però devono essere "eseguiti".
p.22
dicevi
perché ogni corpo è un varco offre e cerca chi cerca vive eterno
perché ogni corpo chiama e deve compiersi
puoi prendermi qui nella bocca la stessa che convoca i tuoi morti
ogni giorno
puoi segnarmi le tue croci sulla corda della schiena la stessa che
piego sotto i tuoi colpi
comandami la luce liberamela dall'utero rapida feroce
poi lasciami andare devo volare devo tornare dai miei figli
perdona amore mio perdona
p.35
corre rumore scuro sui numeri fratelli murati sui portatori interi
di dolore
corre sui passeggeri obbedienti sui canali tra case mercati
treni tumori
corre sul nutrimento stolto dei guariti sulle ferite degli increduli
tra curve
permanenti di sterminio e cantieri corre sul mio e tuo inizio
sulla città
che non saremo mai sull'odore culmine che non uniremo sulla fine
dell'assedio che noi non vedremo corre rumore scuro tra tutte le
vene
dell'esilio sull'asse animale di questo urto incessante addìo
p.39
[io ho un cancro e nessuno mi chiama per nome
solo cavi dentro elettrodi addosso ovunque e io ho sete e non posso
bere
io non posso gridare non riesco neanche a parlare
faccio gesti lentissimi non chiudo mai gli occhi non posso
non so mai dove sono fisso la mano che mi tiene firme le mani
il braccio che mi alza la bocca che mi parla io non sento io non
capisco
io perdo tutte le parole mi spostano mi lavano
ini infilano continuamente altri aghi io non chiedo niente non lo so
più fare
non so se mi hanno colpito se mi hanno tradito non lo so
io forse dovrei soltanto morire e io vorrei morire
ma nessuno che mi aiuta a camminare un po' solo un poco verso il sole
quello è il sole tu lo vedi? è tardi ormai mi restano poche ore
fatemi fuoco bruciate questo maledetto odore lasciatemi andare
la morte è luglio tu ricordi? luglio]
p.63
[ho
aperto il tuo crocefisso dentro ho trovato ossa della storia
le tue piaghe niente di commestibile allora l'ho capovolto
quello che forse è stato sangue ora è caos e per salvarci esiste
un ago eterno di vendetta o l'estrema confessione dell'acqua
che copre l'alto della fronte ma non è più lo stesso dolore
crederei adesso in un dio soltanto tuo chiuso nelle viscere
di corridoi finestre condomini ininterrotti tu lo sai
un urlo è pronto dietro ognuna di queste porte
e lei nuda controlla l'inizio dì ogni cosa]
p.79
la prova certa e segreta di noi della nostra mattina alleata di
questo ritorno
del sole in posizione pallida e ostinata che ti cerca dall'inizio
del viso
fino alle dita tremanti ai polsi tenuti forti incapaci sempre di
sparirti
dentro interamente di diventare noi noi due unico battito di
ogni cosa
unico nome finalmente
lo sentì il mare adesso dicevi questo mare è l'unico a
capirmi
ma anni e anni veri ci separano dalle sue moltitudini ferite
dalle sue bocche perfette
e se cu ora nuda sul fianco dormissi respirando questo maledetto urlo
del mondo addosso che provo e riprovo a guarire senza accettare mai
l'ininterrotta sconfitta che in posizione di padre e pudore resto
curvo
a contare giorni di lavoro di freddo di pazienza senza scampo
costretto
a tornare sempre dove ascoltano i morti e i vivi ancora vivi e
incurabili
non possono parlare
se tu ora nuda e completa potessi vedere i chiodi che ho nascosto
nel sangue che non sono capace di spalancarti le gambe di
confessarti
il destino perché non piango perché scrivo da sempre un unico libro
per i figli che corrono perché solo te posso pregare adesso
di non perdonarmi mai di non chiedermi perdono
se tu nuda e umida e altissima su di me vedessi ora cosa non dovrai
mai
dimenticare perché ho obbedito perché ho giurato sul confine
di tutto il nostro abisso finalmente reale finalmente affamato
quando la legge all'inizio disse noi moriremo tutti tu ci
ascolterai per sempre
p.105
solo il nome tuo___ mi apri
a coloro che ritornano sempre incolumi
col sorriso dei vinti
eppure qui perfino il cemento ringhia le case sputano
nessuno ascolta nessuno
come senti inaccessibile sulla pelle la strada dei vivi raggiungerti
come senti la città aspettarti sempre in posizione cannibale martire
madre sporca quando la schiena diventa bocca naturale e la fatica
urla
semina sorride
rinchiudermi possono come in una velocità fuori da ogni dolore
come in una santità di architetture senza ossa da spezzare senza
pane
da sanguinare
lontano da coloro che tentano di non vedere di non tremare di
restare
sempre uguali senza memoria vicini obbligati dal cancello sempre
aperto
dall'odore pulito e pieno al centro del letto
vengono da un gioco di bambini da un avvertimento gli assassini
sconosciuti vigili pazienti dall'ingranaggio del corpo orizzontale
pieno di pianto quando l'alba è una sposa segreta integrale
un addio perfetto
(i testi non hanno titolo, i riferimenti sono alla pagina del libro, sono stati omessi i riferimenti alle sezioni)
(per farsi un'idea dei lavori in video di Massari v. qui)