Giovedì, 30 agosto 2018
Riletture estive. Alfredo Giuliani, padre fondatore e successivo antologista/curatore del Gruppo 63 e delle sue memorie, curatore de I novissimi, poeta per il quale la sperimentazione non riguardava tanto il significante o l'oggetto/lingua quanto le trappole anche ironiche che la lingua è capace di tendere al suo utente, e alle sue strutture formali destinatarie necessariamente di messa in discussione, di svuotamento e ripopolamento di nuovi e diversi significati, come è evidente leggendo i suoi versi. Nei quali vi è una oscura chiarezza, una chiara sintassi in cui precipitano, colmandola, perturbanti diverse prospettive sul "poetico", su che cosa significhi fare poesia (o teatro, come il suo amato Jarry) e che cosa vi possa confluire a pieno titolo, senza essere pervasi, come ha notato qualcuno, dal demone dello sperimentalismo. I testi sono tratti da "Versi e nonversi", Feltrinelli, collana Impronte, 1986
da Povera Juliet e altre poesie (1952-1966)
Per la festa dei bambini allo zoo
È il più bel giorno di un burbero aprile che ha portato gelide piogge sotto i cappotti smunti e agli alberi capitozzati ha dato un sadico sfondo invernale.
Per la festa dei bambini allo zoo c'erano tante automobili nel piazzale, era venuto il vento di primavera con tutto lo sciopero dei trasporti, c'erano guardie inflessibili ai divieti di sosta e ai cani sciolti.
Per la festa han fatto pagare i bambini e quadruplicato il prezzo. Le solite foche avide e giocose le solite scimmie i soliti elefanti e guanachi il solito leone sonnolento sulle prode di cartone e tanti fotografi dilettanti.
Il Sindaco non c'era. I burattini e il resto dello spettacolo non fecero né ridere né piangere, sentimmo soltanto rotolare ancora un po' la pietra della stupidità volgare. Non passarono aeroplani sopra la nostra testa, gli orsi non dettero il ballo. Non ci fu nulla di gaio e di vitale. Noi adulti conosciamo questa morte coloniale. Il Sindaco, bambini, no.
Azzurro pari venerdì
Come devo comportarmi, domandai per sapere (per avere, invece, si chiede) se Pala nera sarebbe infine abbattuta.
L'astrologo disse: (il destino): generalmente buono, sarà accaduto e non dovrà rimpiangere, di fianco la luna falcata radiosa, considerando l'epoca, una piccola soddisfazione (in pieno giorno galleggiare nel prato), la posizione potrebbe indurla, di Urano o l'inverno che viene dagli spazi, coincide con qualche amica o parente, non esiti a farlo, procurandole notorietà (rumore di cesoie dal giardino), allo scopo di screditarla, tenga sempre con sé il talismano, sarà un mese piuttosto monotono.
E lo psichiatra disse: (a proposito del sogno): l'immagine del bambino con la merda in mano è il mondo largo luminoso vuoto stretto oscuro colmo elevato profondo mobile impuro immobile sudicio contagioso disgustante accogliente minaccioso illimitato doloroso velenoso vischioso decomposto penetrante fisiognomia) ignominioso numinoso è il mondo sanguinoso tagliente spermatico molle terrificante dissipante vertiginoso appropriante metamorfico vendicativo scaltro ostinato innamorato sia chiaro
finché non (finisci di penetrare nella penetrazione) ritorni alla contemplazione (il cancello ha una leggiadra gualdrappa di edera) e io risposi: che bella pace qui, dove gli oggetti scavano la loro superficie: volevo voltarmi, ma è fuggita piangendo.
Yé-Yé coglino
sei uno sei uno sei uno sette con due o o sei nessuno pinco di menelicche cocuzza schizzetto cecio lupino catenella coda ovotinto spolvero scimmio tamburino sei uno sei uno sei uno dopo e prima o o sei nessuno barlaccio bìsciola grifo cuccoberlicche rampichino muffo maffione paletta misicala callalessa cartoccino succhio soffietto mignatta vermicello crine da pulcino sei uno sei uno sei uno sette con due o o sei nessuno pomice strapazzo candela ciufolo cottinfumo lumachino fodero scuffione rosico carciofo mordicollo ufo mandolino bìrbolo frittello fettino sfizietto mèrdola pidocchino sei uno sei uno sei uno sette con due o o sei nessuno (1966)
da Il tautofono (1966-1969)
Storie di signora e signori
"un trucco!" smorfiò "è un cane di paglia!" alla strada vuota di montagne del tibet un lampo di comprensione nervosa percosse le trombe uterine le inaridì ventre e iridi si mise a inghiottire specchi e fruste restò vestita col seno dipinto sbalordiva che sperasse tutto è chiaro quando i rumori della festa ci obbligano a regredire
notai altre incongruenze l'orda di cristallo nero all'orizzonte orientale arredava una stupida paura fughe di corridoi servivano a intercettare scorci di stanze che correvano sconvolte dietro all'incendio il vento rugginoso inacidiva i pallori degli ospiti non sappiamo chi sono e c'inquietano queste folate di fogna eleganti
attraversarono frasi ricche di suono per i legni resinosi e leggendarie lombaggini dalle lucenti corazze e felpe per l'assalto del tempo e uguali intelligenze antiquate in vacanze e "il tramonto è stato fermato?... domattina potremo dormire... si sveglierà..." prima che i pettegolezzi si riempissero d'aria pura le portarono una minestrina calda
ma che idea vestirsi di grigio con questa nebbia vivere qui tra creature ruspanti con i picchi nevosi intorno all'ultimo anello che gela è proprio vero la spaccatura del pomeriggio schioccò nelle vertebre a coda di cuoio ripensò gli anni dei nuotatori e delle torri perché cercare una spiegazione più logica come la città fosse la fine
del mondo sotto le travi pazienti cresce la caverna una semplice congettura com'era quel proverbio... la gatta sul tetto piange e fotte... lui era un'asia sottile tozza immensa e reticente non il senzacuore il capzioso guerriero linguarossa arma nel ventre una maniera del resto che a tutti sarebbe parsa impropria di allevare cani scadenti
Episodietto della sera
la pasticca è caduta dalla garza turchina di schianto nell'afa gonfia dei battelli a vela poi la pioggia di latta toc tic toc tic branchi di bollicine affiorano la raffica scialba scopre l'acre odore di acquitrino allega il palato nel dito maniaco dei suoi capelli e ci voltiamo alla passione della sera specchiante nelle grinze delle vetrine parole spruzzate di mare verso l'oscurità che s'accapiglia intorno al buco in cui scivolano le dita accese
da Casuali (1978-1984)
Quegli uccelli
Quegli uccelli potevano essere i rigogoli e quei vortici di calma sopra le spalliere muschiose gli sbuffi di canfora e menta alzavi le orecchie di fiore carezzavi il vellutello di là dal riparo la strada roca di vento lo sguardo cercava le effigi pungenti sentivi l'odore marcio l'estate caduta supina cominciava a decomporsi c'era un'aria di spossata incertezza alborava un rosso scempio di gallina
Invecchiamento
a Antonio Papasso
Quand'ero giovane, rovesciato il sudicio guanto dell'eternità, masturbavo la psiche incerta dell'esperienza; consumavo un bel po' d'anima nell'anabasi di un giorno; attraversavo gli strappi dei cartelloni, non i muri, non ero così visionario, dai muri spellavo i nomi; mi sgomentava la perenne flussione di monete altrui e di impudicizie in meriti e traffici sconosciuti; leggevo in ogni essere una malìa di trapianti, pensavo agli obliqui colloqui della nuca allo specchio: e la pompa funebre del cuore, il vento pieno di orologi, la tagliola nei suoi occhi, una cocciuta debolezza, un formicolìo soprannaturale: la felce che dondola impettita i rametti, i cani al galoppo nel giardino fiorito, lei che schiaccia tra i denti le pulci fragranti. Sospettavo iddìi celati in ogni luogo comune e inverecondo. Non mi capacitavo del tempo, dicevo: è ridicolo, poco fa è passato adesso. E adesso che invecchio, adoro le spiegazioni semplici.
Nostro Padre Ubu
Il nostro Padre Ubu ha forma di sfera come il filosofo Humpty Dumpty e testa di legno transmentale in forma di pera Occhietti porcini muso di coccodrillo insondabili palle di vecchio ferro da stiro se ne va col suo ombrello-clistere in bicicletta per restituire la pioggia al cielo
S'ode lontana l'ombra del vento tutto il silenzio tace cadono gli onori nell'abisso delle sue tasche
Il nostro Padre Ubu con scienza della vita arrota i gas frantuma l'infinito afferma che spendere è l'illusione di avere e il paradiso abominevole si spappola nel carcere lampante del cervello Così svuota i giorni dentro le notti e minaccia i nemici col suo pompamerdra
S'ode lontana l'ombra del vento tutto il silenzio tace cadono gli onori nell'abisso delle sue tasche
Il nostro Padre Ubu senza togliersi il cappotto roteando con fracide labbra il mezzo toscano fa rutti alfabetici e inculate primaverili assorto visita le alte cattedrali e si leva a contemplare le vetrate per profumarsi d'incenso carezza in incognito le bare tra i neri denti fruga con un candido stuzzicadenti
S'ode lontana l'ombra del vento tutto il silenzio tace cadono gli onori nell'abisso delle sue tasche
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