Writing-Surrealism (suggerito dalla mostra "I Rivoluzionari del 900",
Palazzo Albergati, Bologna)
Uno degli aspetti più interessanti della sperimentazione surrealista_ tale
che essa appare rivisitata nella mostra bolognese, "I Rivoluzionari del
'900" attualmente a Palazzo Albergati_ è la ricerca di un automatismo nella
creazione, nella “scrittura automatica” per esempio, modalità che libera
l’artista o il poeta dal controllo della ragione intesa come quella gabbia
di pensiero positivista borghese o del retaggio asfittico di una certa
tradizione estetica in inizio ventesimo secolo. L’automatismo, permettendo
di eludere il controllo della coscienza, costituiva una via privilegiata
per attingere a una sorgente più antica, perlopiù inconscia e liberare in
questo modo radicalmente l'arte dai vincoli della realtà quotidiana.
L’artista doveva semplicemente limitarsi a lasciar affiorare le linee e le
forme quasi casualmente nei disegni automatici di Arp e Masson,
nell’universo di segni primitivi di Joan Mirò o diversamente nelle
solarizzazioni e sovrapposizioni fotografiche di Man Ray. Il surrealismo,
liberando in tal modo il potere dell’immaginazione, intendeva riallacciarsi
direttamente alla sfera del sogno, dell’inconscio, in qualche caso
all’allucinazione prodotta dalla follia o al tutto possibile del gioco
d’infanzia.
Nella scrittura automatica, secondo Breton, l’intento surrealista del poeta
è quello di ottenere “ la rivelazione istantanea di tracce verbali la cui
carica psichica si comunica direttamente al sistema percettivo-cosciente”.
Gli accostamenti sorprendenti di soggetti su una tela, la scrittura
prodotta da sensazioni, memorie o idee in libera associazione o gli
incontri fortuiti con gli “oggetti trovati” sono alcune delle vie percorse
dal surrealismo per infondere nuova linfa vitale alla creazione artistica
di inizio novecento. Vorremo leggere qui di seguito alcune delle opere
viste a Palazzo in senso surrealista giustapponendo immagini e parole con
una simile libertà espressiva scaturita dall' incontro fortuito tra la
scrittura le linee, le forme i e colori.
Joan Mirò, “Women and birds”
“Comincio a dipingere e la forma diventa indice di qualcosa”

“E’ la traccia grossolana lasciata da un colpo di spatola nero, una
pennellata spessa e corposa su una tela bianca. La neve si riempie di forme
guizzanti, colorate e libere in un mare cromatico e gioioso, fluttuante
sullo sfondo. Chiazze di colore primario entrano in lotta tra loro come
degli opposti attraendosi e respingendosi senza sosta: rosso ardente e
infuocato, verde genuino, giovane e rigenerante, giallo vivido e
splendente, blu intenso e oltremarino. Al di sopra, una nera impronta si
avvolge a spirale, la trama di un gioco avverso del destino; una nuvola
oscura si propaga attraverso la tela, sopra il taglio netto di una corda
avvinghiante che si annoda su sé stessa fino a soffocarla. Si viaggia
attraverso i sensi nel campo magnetico creato sullo sfondo dai colori
primari: giallo, sensuale forza di vita, rosso essenza-radice, blu
oltremare, azzurro etereo, celestiale come il vagare di una mente nel
sogno, poi la traccia nera a raso, esposta e barrata in esterno sul bianco
candore. Esplosione violenta di un tratto che marca irreversibile e
essenziale.
Joan Mirò: "Ballerina spagnola", 1927
Una nuvola bianca svapora in una gonna a balze di flamenco, un paio scarpe
a punta brillano nere e scintillanti richiamando alla memoria i piedi della
ballerina, una testa di pesce giallo boccheggia a lato mentre un verde
intenso risuona dall’incavo di un corno. Sullo sfondo il fondale uniforme e
ocra dell’arenaria. Poi il filo di un palloncino sale verso una sfera nera
fluttuante e sospesa sopra la sua testa simile a un cappello da circo
lanciato in aria. Il corpo della ballerina di flamenco appare in pochi
tratti e macchie di colore, soave nella nuvola-gonna vaporosa, fiero nello
stendardo posto sopra la sua testa, ineluttabile nella ritmica assoluta
dettata dal battito dei piedi attraverso le scarpe evocati. La linea appena
accennata è già trasfigurata, appena allusa e già dissimulata mentre
l’acquarello disegna lo spazio con la forza innata di un movimento, la
danza re-inventata attraverso la pittura surrealista. Così, la tela libera
l’immaginario dal puro figurale affondando in un segno istintivo nato
dall’automatismo di un gesto semi-cosciente.

La danza è una nuvola appesa e fluttuante, bianca e svaporata, è un
impulso, un innato movente che non trova appiglio al suolo tuttavia, ma
leggera, aerea come la forma accennata di un corpo vaga distante, legata
alla terra da un solo filo: sottile, esile cordone ombelicale che ancora la
tiene ancorata per non poter volare via altrove. E’ ancora un paio di
scarpe nere, lucide e a punta, che sole danno il tempo ineluttabile, le
pause e la scansione ritmica dell’attesa. E’ una testa di pesce giallo-ocra
boccheggiante sulla sabbia, la nota sconosciuta di un corno verde brillante
che risuona o risponde a un richiamo; è un cappello da circo, un gioco
gioioso, un lancio di dadi nello svaporato etere dell’universo . E’ di quel
sogno proiettato, forse, solo lo schermo della pittura.
Breton: “
La finestra scavata nella carne si apre sul nostro cuore, vi si vede un
immenso lago dove a mezzogiorno vengono a posarsi libellule dai
riflessi dorati e dal profumo di peonia. Che grande albero è questo
dove gli animali vengono a specchiarsi…Tutto quello che dobbiamo fare è
aprire le nostre mani e il nostro cuore e saremo nudi come in un giorno
di sole”
Brassai, "Graffiti parisiens”
Un cerchio, una croce e una testa incisa sul muro in pochi tratti
primitivi. Sulla parete nuda e grezza di cemento il segno richiama un
alfabeto di geroglifici a noi sconosciuti: incisioni sulla roccia d’epoca
preistorica, impronte di volti e di mani oppure un disegno infantile
apparso per gioco su un foglio.

E’ un uomo che lascia la sua traccia sulla durezza della pietra, oppure un
ritratto del medesimo visto dalla mente fantasiosa di un bambino. E’ una
firma, un’impronta, la propria unica e singolare sul mondo impressa in
segni di grafite sul muro. Sulla maschera primitiva il sigaro lascia
scorrere linee di fumo mentre lentamente consumano in cenere sulla
superficie della roccia. Lo sguardo è affisso simile a un manifesto su una
parete; un piano inciso in solchi di vuoto.
Dopo uno scroscio di pioggia, il volto è scorto in un improvviso bagliore
nel contro-luce delle ultime gocce.
“Portrait of Marchesa Casati”, Man Ray
Degli occhi che vedono in tre dimensioni attraverso la pelle, l’apparire
del viso è etereo, quasi avesse attraversato una soglia di realtà per
raggiungere una sfera sovra-sensibile, ultra-umana mentre l’immagine
fotografica appare qui solarizzata. Lei, dalla maschera di cera, dal volto
d’acqua, dallo sguardo fissato lontano, dagli occhi che trafiggono,
attraverso la materia verso una sovra-realtà.

Radiografia: la luce trafigge la durezza pietra, allo stesso modo l’energia
irradia attraverso la pelle, vibra dentro la materia e mostra l’aurea degli
oggetti nelle loro vere forme messe a nudo.
In “Centauto nella foresta” di Hans Arp e “disegno automatico” di Masson la
china affiora sul foglio portata da segni che appaiono accidentali e sul
cammino si investono di un senso, di una storia.
Man Ray, “Noire et Blanc”
Il primo piano è sul volto levigato, candido e madreperlaceo, di
un’idealità e una bellezza assoluta solarizzato nell’effetto fotografico
contro il nero d’avorio della maschera africana. L’accostamento tra i due
volti suggerisce il candore e insieme la lucentezza , l’aspetto levigato
della pelle e dell’ebano, infine il bianco e il nero come la visione degli
opposti che si integrano e si completano. Lo sguardo del fotografo portato
su quel volto è colmo di sensualità e desiderio ma, il ritratto resta
epurato, tuttavia, d’ogni forma di reale carnalità quasi fosse ricondotto a
un archetipo universale del femminile .
Pablo Picasso, “Donna davanti al mare”
Dalla citazione di Breton in commento alla tela leggiamo: “la mia donna dal
sesso di specchio, dagli occhi pieni di lacrime, dagli occhi di savana".

“Sempre sotto l’ascia”, affermano questi versi , vale a dire frantumata
nella figura secondo l’ottica di scomposizione cubista eppure “dagli occhi
d’acqua da bere” in un’ulteriore versione della “donna che piange”
picassiana. Con il viso tra la linea del mare e dell’aria, il corpo
scomposto nella pienezza delle masse, sintetica procede per blocchi
essenziali, trascendente nello sguardo gettato sull’orizzonte
azzurro-marino. E’ la donna picassiana inesorabilmente affranta nel volto
ma dalla plasticità multipla e scomposta della figura vista da un punto di
vista frontale e insieme obliquo sulla stessa tela. Infine appare immersa
fino alla vita dentro il livello dell’acqua, poi in continuità con quello
dell’aria, in ricongiungimento al piano cosmico universale.
Biomorfismo
Jean Arp: "Torso e covone di fieno"
Questa forma liquida, sinuosa, modellata e malleabile come fosse d’acqua o
d’argilla appena lavorata, impastata e resa fluida al tatto appare estratta
in potenza dalla materia. L’essenza organica della figura resta impressa
nella durezza ineluttabile e brillante del bronzo dorato come una presenza,
un’energia vitale, una forma erotica d’una sorprendente plasticità qui
impressa nella definitiva linea scultorea. Il corpo femminile appare in
quest’ottica surrealista messo a nudo da uno sguardo maschile intrusivo e
desiderante verso un oggetto ambiguo investito di molteplici forze
attrattive e repulsive: idealizzato, inseguito, distrutto e ricomposto,
frammentato e manipolato come un puro oggetto del desiderio su cui si
proiettano paure, fantasie, angosce e pulsioni inconsce del soggetto .

Tale sguardo erotico si esprime al massimo grado nel bronzo traslucido
della scultura di Arp, mentre egli plasma la carne in forme affusolate e
femminili dentro rotondità di natiche e seni, nella continuità di un
movimento organico, innato al corpo che lo fa apparire come puro involucro
dorato.
Tanguy “Composizione”, (1927)
Forme galleggiano in queste profondità marine e desertiche: creature
fossilizzate in un fondo petroso di desolazione e solitudine dove
l’universo acquatico appare prosciugato o evocato solo come un lontano
miraggio della memoria per lasciare posto, unicamente, a queste dissolvenze
organiche sulla pietra . Nella prima versione, le forme ancora acquatiche
appaiono sul fondale blu-grigio mercurio della marina, nella seconda, esse
dissolte o dissipate atterrano sulla griglia desertica di un oceano
prosciugato. Un solo bagliore di luce pallida permane evanescente e
riflessa in lontananza.

Le vedute desertiche e sofferenti di Tanguy riflettono da un lato la
contingenza storica del secondo conflitto mondiale in Europa e il
pessimismo cosmico degli anni post-olocausto; dall’altro, incarnano
l'ibridazione surrealista tra forme minerali, vegetali e umane, organiche e
formazioni rocciose in una forza di vita convocata.
Masson, “Goethe e la metamorfosi delle piante”
Il disegno automatico lascia affiorare linee su un foglio, per scoprire in
esse il senso, il disegno come prendesse forma da un casuale tracciato di
linee e di punti, come esistesse già là precedentemente e fosse
semplicemente riportato in luce, restituito da una primaria nebulosa di
tratti e punti.

Sempre nel surrealismo si tratta del tentativo di espandere i limiti della
mente razionale e cosciente, e liberare la forza creativa dell’inconscio
attraverso l'arte.
Sono simili a raggi ultravioletti, la metamorfosi prodotta dall’occhio, nel
quadro di Masson. Goethe scruta attraverso il suo sguardo percuotente, in
scansione ultrasensibile sulla realtà e penetra, scompone, analizza e entra
in vibrazione con la vita essenziale delle piante. Secondo la teoria sulla
“Metamorfosi delle piante” di Goethe cui si ispira il quadro, l’essenza
della forma, quel quid immutabile sul piano ideale si materializza
negli oggetti in una modalità fluida sul piano fisico di multiple grandezze
e colori. L’uomo, allo stesso modo, vive in questa continuità e
non-separatezza al mondo dentro uno stesso divenire cosmico. Il poeta,
dunque, è per essenza "veggente e filosofo" visto nell’atto di
guardare attraverso le cose e raggiungere la vera realtà, la surrealtà
dell’oggetto passando per la mediazione di uno sguardo: forse di una
“seconda vista”. La sua esperienza sensibile risponde a quella della vita
della natura come fosse in una continuità , in una compenetrazione o quasi
foto-sintesi tra la luce solare, il tessuto vegetale della pianta e la
linea di luce proveniente dai suoi occhi. Per Masson come per Goethe lo
sguardo e l’intuizione poetica passano attraverso il colore e la materia
per giungere all’appercezione dell’essere.
Accostamenti sorprendenti dalle arti visive alla parola
La sezione raccoglie opere storiche dadaiste come l’appropriazione ironica
della Gioconda da parte di Duchamps, “oggetti trovati” come la celeberrima
“Ruota di bicicletta”, poi ready-made e collage, montaggi di diversi
materiali su singole tele. Le opere dadaiste mettono in discussione
attraverso l’accostamento sorprendente di oggetti, il fotomontaggio o la
trasposizione dal piano quotidiano all’onirico la morale borghese e
l’estetica realista aprendo la strada alle successive sperimentazioni
surrealiste.
Joseph Cornell, “The sixth dawn”
, l’alba di un cerchio d’oro e d’ angeli a forma di uccelli alati.
La mia mente, i miei anni, lo specchio del mio volto in un cerchio di fuoco
e di luce. L’alba luminosa di un orizzonte che vedo troppo a distanza,
aperto dentro una parentesi di infinito sulla sordità del reale
circostante.
La mia mente, i miei anni, a occhi aperti visualizzati da una sfera di
fuoco rischiarata dalla luce dell’alba. Una chiarezza laggiù, in
quell’orizzonte lontano. Il mio sogno di infinito riflesso in quel cerchio
di luce a distanza.
Tra gli oggetti surrealisti: la pianta tridimensionale di una casa aperta e
riportata su un foglio, finestre e porte che danno su antri del sogno,
cerchi concentrici (dell’immaginazione) tenuti stretti da una molla, un
gioco di dadi.
“Il sogno di una chiave di notte” smarrita perché qualcuno la ritrovi,
missive segrete, una raccolta di lettere-”allerte”, un “castello dalle
mille scosse” sull’etichetta d’una bottiglia di vino svuotata. Ancora
appare una scatola di legno dai tanti comparti aperta su tre dimensioni e
poi richiusa dentro il vano di un muro: la mia piccola scatola dei sogni e
dei ritagli, dei bijoux e degli oggetti sepolti del passato.

Infine, il " viso di Mae West" di Salvaror Dalì diviene
in un’installazione contemporanea di Oscar Tusquets Blanca una camera
d’appartamento ricostruita all’interno del museo dove i grandi occhi
appaiono come due immagini elettroniche scomposte in unità infinitesimali,
fluttuanti e sfuocate. Sedendo sul divano a forma di labbra si riflette
ambigua e scomposta la nostra immagine di spettatori osservata sulla parete
opposta dello specchio. Ancora, le due narici in plastica espanse divengono
antri di camino rosso-carminio con fiamme artificiali brucianti al loro
interno. Le luci sono basse e sfumate, la vibrazione del rosso fuoco
dominante sulle pareti. La sensazione è quella di essere all’interno, nei
recessi della stanza o di un corpo. Forse ancora, per l’artista,
all’interno della psiche insinuandosi in un territorio abitato da pulsioni
inconsce e desideranti. (elisa castagnoli)