Martedì, 31 ottobre 2017
Un'occasione in questi giorni per prendere due piccioni, anzi tre, con una
fava. Ricorrono i morti (e lasciamo perdere le barzellette al riguardo), è
il centenario della disfatta di Caporetto e, tertium datur, le due cose si
combinano in un poeta che ha avuto alterne fortune, come gran parte della
poesia dialettale italiana. Parlo di Delio Tessa e della
sua
Caporetto 1917, «L’è el dì di Mort, alegher!», Sonada quasi ona
fantasia,
contenuto in L'è el dì di mort, alegher ; De la del mur e altre liriche, a cura
di Dante Isella, Einaudi 1985, che peraltro è possibile reperire in rete,
anche se privo di apparato critico. Tessa, come afferma P.V. Mengaldo
includendolo nel suo Poeti italiani del Novecento, è "uno dei più
grandi del nostro Novecento senza distinzione di linguaggio", aggiungendo
che "il disinteresse per questo poeta è una vergogna per la critica
italiana" (ma si era nel 1978 e a quel tempo Isella, uno dei massimi
studiosi della letteratura lombarda, stava ancora lavorando sull'opera di
Tessa). Sta di fatto che questi giudizi possono essere ancora in parte
sottoscritti, poiché è certo vero che Tessa è un eccellente poeta, basta
leggerlo anche solo nelle "traduzioni" in lingua italiana per rendersene
conto, ma è anche vero che Tessa, come la poesia dialettale in genere (ma è
categoria però piuttosto generica, basti pensare alla reinvenzione
dialettale di Scataglini e la rilevanza particolare che assume un poeta che
amo, Emilio Rentocchini), rinnova qualche interesse nella critica. Cito a
mero titolo di esempio l'edizione della stessa opera a cura di Mauro
Bignamini, per i tipi delle Edizioni dell'Orso, 2014, che prende in esame
le concordanze dell'opera di Tessa a partire proprio dall'edizione
iselliana; e in ambito più generale, sempre a titolo di esempio, citerei i
volumi
L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre
lingue minoritarie tra Novecento e Duemila
, a cura di Manuel Cohen, Valerio Cuccaroni, Rossella Renzi, Giuseppe Nava
e Christian Sinicco per i tipi di Qwynplaine, 2014; e inoltre (ma qui siamo
decisamente sulla produzione attuale) Guardando per terra. Voci della poesia contemporanea in dialetto
(LietoColle 2011). Il Sud, come sempre, è minoranza nella minoranza, con
buona pace degli "eredi" di Pierro e Buttitta, sebbene non manchino anche
oggi voci molto interessanti (ad esempio gli apprezzabili Giuseppe Samperi
- v.
QUI
, o Marco Scalabrino - v.
QUI
), tanto che per la poesia dialettale sembra quasi inevitabile parlare di
linea settentrionale. Da ricordare infine, facendo un passo indietro,
Franco Brevini, autore dell’antologia Poeti dialettali del Novecento (Einaudi, 1987), coeva dell'impegno
di Isella, e i tributi seppur non esaustivi che a Tessa hanno dedicato
Pasolini, Fortini, Loi, Giuseppe Anceschi, Cases e altri.
Il libro L'è el dì di mort, alegher è l'unico pubblicato in vita
da Tessa, nel 1932, ma la "sonada" risale al 1919, appena un anno dopo la
conclusione della Grande Guerra, e nello stesso anno della dannunziana
"vittoria mutilata" dal Trattato di Versailles che secondo Salvemini
rientrerà a pieno titolo nella mitologia patriottica fascista. E questo è
un fatto già abbastanza singolare, leggendo quanto e come il testo mette in
scena. Non c'è nessuna vittoria da celebrare, per Tessa, c'è semmai da
ricordare l'impatto fortissimo sul sentire popolare della tragedia di
Caporetto, di quella "inutile strage" della Lettera ai capi dei popoli belligeranti di Benedetto XV, un
centenario anche questo (1 agosto 1917), se proprio vogliamo ricordarcelo.
E proprio il punto di vista popolare che Tessa cerca di interpretare, un
punto di vista forse poco patriottico, di gente comune anche preoccupata
delle sue cose e della sua vita, quella stessa gente che ha fornito i
fantaccini mandati al macello, "quelli che marciscono là... che hanno
finito la guerra e, se Dio vuole, sotto terra, a macero...", e che teme
perfino che i tedeschi arrivino fino a Milano. Da lì viene questa lunga
corale intrecciata di voci, la sua ispirazione e la sua giustificazione
anche morale: "Riconosco ed onoro un solo Maestro: il popolo che parla.
Squisitamente parla ancora un suo mutevole linguaggio sempre ricco, sempre
vario, sempre nuovo come le nuvole del cielo", scriverà Tessa nella
"Dichiarazione" che precede la prima edizione del libro. Da lì, quindi, dal
popolo, per Tessa giunge anche una patente di verità, di realtà, in qualche
modo un mandato, e insieme una forma e una sostanza, un metro e una lingua
adatta allo scopo, ordinaria, disarticolata come un cicaleccio, dialogica,
idiolettale, scenica e fortemente icastica, anche in forza del ritmo
sostenuto e insieme sincopato che la innerva, come una piazza affollata e
inquieta in cui tutti parlano tutti insieme. E' un popolo tutto sommato
senza speranza, che di lì a qualche anno sarà inquadrato nelle adunate
oceaniche del fascismo, del quale Tessa, fondamentalmente anarchico, sarà
un oppositore fino alla morte, avvenuta nel 1939, prima di vedere
l'ulteriore immensa "macelleria" della Seconda Guerra. Considerato da
alcuni un bozzettista, da altri un crepuscolare, tuttavia, come aveva
notato Fortini, il recupero di certi motivi e stilemi e il ricorso ad una
lingua popolare - peraltro, più che sorgiva, secondo me abilmente
manipolata - va considerato, specie nelle opere seguenti, pubblicate tutte
postume, anche come una posizione antiretorica, "quanto più la
contemporaneità gli si presentava con i tratti odiosi del fascismo"
(Mengaldo), venata, sembra chiaro, del "radicale pessimismo antropologico"
che gli attribuisce Fortini. Ma forse, leggendo Tessa, il carattere che più
sembra colpire è l'espressionismo che Pasolini aveva individuato, se non
erro in Poesia dialettale del Novecento, un espressionismo
europeo, per le tinte anche forti (bisognerebbe leggere ad esempio La mort della Gussona) che richiamano Dix, Grosz, Kokoschka; e per
lo stile fonico-ritmico, l'imitazione del parlato, la frattura linguistica
e lessicale fino talvolta a segnare un passaggio "dal semantico
all'asemantico" (Gibellini), la narrazione per frammenti trasposti e
rimontati, e così via (e non bisogna dimenticare che, a quanto sembra, era anche un abile performer delle sue poesie). Non è difficile immaginare, al di là del
confinamento, specie nei primi anni, in una cerchia ristretta e della
questione lingua/dialetto talvolta usata in funzione ghettizzante, quanto
fosse e apparisse moderno Delio Tessa. (g.c.)
Caporetto 1917 - «L’è el dì di Mort, alegher!» Sonada quasi ona fantasia
Alla Signora Elisabetta P. Keller
Torni da vial Certosa, torni di Cimiteri in mezz a on someneri de cioccatee che vosa, de baracchee che canta e che giubbiana in santa pas con de brasc la tosa.
L’è el dì di Mort, alegher! Sotta ai topiett se balla, se rid e se boccalla; passen i tramm ch’hin negher de quij che torna a cà per magnà, boccallà: scisger e tempia... alegher
fioeuj, che semm fottuu! I noster patatocch a furia de traij ciocch, de ciappaij per el cuu, de mandaij a cà busca m’àn buttaa via la rusca, scalcen a salt de cuu,
scappen, sti sacradio, mollen el mazz, me disen, mollen i arma, slisen de tutt i part, el Zio me l’à pettaa in del gnàbel longh quatter spann e stàbel, l’è el dì di Mort e dio!
Passen i tramm ch’hin negher gent sora gent... lingera... tosann e banch de fera!... «Oh i bej coronn!» «Alegher!» «oh i bej lumitt!» «oh i pizzi, le belle tende, oh i pizzi!» «L’è el dì di Mort... alegher!»
... e giò con sta missolta de locch che a brigadella canta alla-loibella:
«O macchinista ferma il diretto perchè al distretto me tocca andà...»
- questa l’è bonna! scolta:
«stacca la macchina, ferma il diretto che son costretto d’andà a soldà!» ... a furia de batost tirom là... «Caldarost!» ... e giò vers porta Volta,
adree con sto mis-masc de ciocch che se balanza... Te vedet?! No me vanza pu che i nost quatter strasc, l’eredità l’è andada, semm in bolletta in strada tornèmm a fà el pajasc!
Comincia adasi... adasi... a vegnì sira... e là... – canten anmò, dà a trà –
«... che al mio paese voglio tornà...»
giò vers Milan l’è quasi scur... rong e semineri, navili e cimiteri suden adasi, adasí,
umed e nebbia... Ottober, cocober... pover nun! vun per vun, vun per vun, me perteghen i rogher! Oh Gesù, che sbiottada de piant! che pertegada là sù!... Ottober... cocober!...
Turines giolittian, milanes socialista, coragg, lustrev la vista! Tognitt de San Damian, slarghev el coeur, hin chì... torna i todisch... hin chì... riven qui car pattan,
qui car barbis, qui rost de cojn! A stondera per i banch della fera pavani e pensi ai nost miseri:... rogn, deslippa e generaj de pippa!... e quell dì... «Caldarost!...
Caldarost!...» ... e quell dì vedi... (Madonna! Dò? tre settimann ammò?...) ... che in piazza o forse lì dal Briosch: «T’ée sentii?... – me diran – ... t’ée sentii?... riven... ghe semm... hin chì...
mòllen di part de Bressa, riven... hin a Veston! de Desenzan, Gardon scàppen... cara el me Tessa, stemm d’oca!...» e mi, de slanz, foeura!... lì inscì denanz del Campari... gh’è ressa...
pienna la Galleria... gent che rebutta... duu che vosa... «... A pee in del cuu vemm inanz! ... sansesia m’àn sfottuu!» «Non bisogna cedere!»... gent che rogna... gent che inziga sott via...
che rebuij e che baja. Balengo, rocchetton, vasco, batta-bastion, vàrdela la loccaja, ch’è sbottida di boeucc foeura in Piazza! Linoeucc, coo d’aria, razzapaja,
foeura a fagh festa al Zio! «Silenzio!» «Taja!... Taja!...» Sèntela la loccaja che se scadenna!... «... Mio oeij Majo!... tirel piatt! mócchela, ciccolatt!» «Ma silenzio... per Dio!»
«Citto!» Dai ammezzati lèggen a ona finestra el Bolettin «... a destra del Brenta, incendiati i depositi, in dura lotta nella pianura, ci siamo ripiegati...»
«Te sèntet?... ripiegati!» «Silenzio!» «Cóppet! Faccia de cuu de can de caccia!» «... coi reparti alleati...» «... bon quell’oss!» «Ma tralasci i suoi commenti e lasci terminare!» «... e schierati
combattendo fra Po ed Adige, sul Mincio, secondo i piani...» (... crincio! tè lì dov’hín gemò! sul Mincio... propi!) «abbiamo...» «Cossa l’à ditt? Abbiamo... e poeu? se capiss nò!»
L’à ditt – evacuato! –» «Coss’è?» «Mah!» «ad occidente... abbiamo nettamente respinto...» «... Evacuato putost!» «... in nostre mani...» «Tutt ball!» «... areoplani...» «... Ghe voeur alter!» «... firmato
Cadorna!» « Bolletton! va a scóndet, brutt malann e càscen pu de cann!» «Se sent gemò el canon foeura di dazi!» «Lei, non si vergogna, Lei!» «De coss’è? gh’è el canon,
segura! gh’è el canon che se sent!» «Allarmista!» «Napoli!» «Disfattista!» «Va al tò paes, rognon de fidigh!... aria!» «Lei, Lei, venga con me, Lei!» «Mi, con lu?! L’è el padron
del vapor lu? dà a trà, oeuj, el voeur menamm sù, el voeur! ... ma chi l’è lu? chi l’è?» «Làssel andà!» «Napoli!» «Rinnegato!» «L’è vun del Comitato!» «Daij che l’è on sciatt! ... sà... sà...
oeuj!» «Làssel andà!» «Giò! pèstegh giò!» « Italiani senza patria! a domani!» «Doman, sì!... speccia bò!» «Lobbia!» «va al tò paes, o crist d’on milanes arios! va a digh ai tò ch’àn sbagliaa el primm botton, tiren inanz la guerra per coppamm, tramm in terra, eccola la reson!» «Mascanbroni, l’è ora de finilla!» «In malora m àn traa!...» «Rivoluzion,
sù!... sù!... Rivoluzion!»
«Avanti, o Popolo, alla riscossa! Bandiera rossa, bandiera rossa!»
... Signor! Signor! ... deslippa, rogn, generaj de pippa, vemm a tocch e boccon! ... Rivoluzion... vardee!... Car Signor, compagnee qui de per lor...
«Bandiera rossa la s’innalzerà, Bandiera rossa della libertà!»
Canzon de guerra, della trista guerra, sù! sù bandera rossa de temp de fera! Anarchich, socialista, sù che ghe semm... l’è ora! sbragee, scarpev la gora, allon, lustrev la vista,
slarghev el coeur, ghe semm! E intrattanta che dì per dì, giò, dì per dì, d’ora in ora andaremm giò, giò, a pocch a pocch tutti in d’on mucc a tocch e boccon, a patremm,
che sulla Madonnina «Bandiera rossa...» là sù... «... la s’innalzerà!» e che faran tonina per i cà, per i straa, per i piazz... «... àn coppaa l’Albertin, stamattina,
viva nun!... l’àn traa là, pugn, pesciat... “l’eet voruda la guerra, porco giuda!... daij, sassat... gh’àn faa fa la mort del Prina!» intanta che se coppa e se canta, tè lì... cominciarà
per Milan la passada di legor... on mis-masc, on mes’cioss, mucc de strasc, gent stremida, sbiottada e che in fuga... «... i croatt... i croatt...!» van a sbatt i so oss su ona strada!
Paisan ch’àn lassaa là... terra, vacca, roij e se rusen... «Madoij, na poss più!»... caregaa come muij, coi fioeu e la donna «O Tanoeu, scià... gnèman...» e soldaa
e soldaa in filera trista, in filera grisa... «... taja la corda, slisa, femm societaa... bandiera rossa... suu!» e el canon che brontolla, el canon che rogna in la scighera...
Scolta! vers Melegnan giughen ai bocc col Zio, riven sta volta e dio! ... vegnen sù de Drusan, passen de Modigliaa, Colturan, San Donaa, passen l’Adda a Cassan,
salta el pont de Paderno, brusa stabiliment, cà, gent che sgara, gent che se calca... e l’inverno, la nebbia, fora... fora... areoplan che sgora, bomb che s’cioppa! on inferno!
fora... fora... scappemm! E me pader che balla per cà... «... ma coss te calla ancamò? vemm o stemm?» « Senio, cià, damm i sent, vardi là... gh’è pu nient de mett dent?» «... prest, andemm,
sara sù... dove veet, Clara!... la macchinetta del spirit? petta, petta tè la chì, coss te gh’eet de mett dent ancamò? quisti chì?...» «... secca nò, lassa stà, se te gh’eet
d’andà alla Banca, va, ciappa temp, va alla Banca putost, va – l’è puranca on toeu fiaa quell’omm! –» Là ai cassett gh’hin là tucc del scior Cerutti in mucc ai sporteij... «Firma, cià
sto librett... la ciavetta... derva...» e foeu... cinqu per cent, cartell, posat d’argent, trii e mezz... e impacchetta, liga... «... e quj della Lina? quj della zia Angelina? e quj dell’Erminietta?
(gh’óo pienna la cassetta della roba di alter...) cossa en foo? ghe voeur alter chì che sta valisetta!... cià... cià... quj della zia, tuscoss...» e via, e via a pescian vers Corbetta,
a pescian vers Baregg, Sedrian, vers Tesin e dree-via (on trattin trenta mia!) a paregg che vivee! che missolta! (e la nebbia! e la molta!) on mes’cioss, on bodegg
in ombria... e se va, e se va... e la sira intrattanta, la sira che ven foeura de cà, che s’invia e col sò smorziroeu la ven giò, per incoeu, a requià
trebuleri, a quattà miseri... e la nott poeu che la gattona foeu con la pattonna!... e va che te va... dove vemm? a Tesin? a patremm? dove semm?... giò de là...
(vers Milan? vers Baregg?) ... giò de là... che scuroeu! Gesù-dio! o fioeu, degh on oeucc! a paregg (dove sont?) on vivee... baracchee... cioccatee... (fegh a ment!) on bodegg
in ombria... dessèdet, sù descàntet!... lingera, tosann e banch de fera! Gamba-de-legn... te vèdet, ghe semm denter! tramm negher, gent sora gent, alegher! l’è el dì di Mort... dessèdet!
Torni de la Bullona, torni di Cimiteri, in mezz a on someneri de vasco che slandronna, de trionfa... «La vita, – passa on carell – La vita sciori!»... che se dondonna,
che giubbiana e che baja. Là di part del Rondò – fèrmet on bott – là giò, sèntela la loccaja che la ghe va su bella!
«Cadorna per le feste l’à scritto alla Regina: – la voeur vedè Trieste? gh’el mandi in cartolina! – Bim, bom, bom Al rombo del canon!»
a rosc e a brigadella sotta la nivolaja umeda, pien de vin, cànten su la bassora, cànten a scarpa-gora...
«... e m’ànno destinato al sesto fanteria per essere mandato alla macelleria!... Bim, bom, bom, al rombo del canon!»
A pos al Sempionin, vàrdela là la faccia del sô che la se quaccia sotta al so prepontin
de nivol... sotta ai dobbi! – tosann, andemm a nana sotta i covert de lana! – Sbarlusa sora ai stobbi... (di part della Bullona gamba-de-legn che sona!) ... sbarlusa in mezz ai pobbi
del stradon de Musocch dree-terra ona rianna de foeugh... là... che sanguanna! «... ma el general Cadorna el magna, el bev, el dorma bim, bom, bom al rombo del canon!»
... canzon che riva a tocch e boccon e slontanna di part de là... rianna de sang che a pocch a pocch,
gott a gott, sui camin, sui copp di lavoreri de guerra – semineri de sced, de magazzin, de campat – gott a gott la còla sang a sfott l’asnin caga-zecchin
dell’ingeniee Titola- Babeo ch’el fa grassa, sotta quella faciassa (e gotta sang, e còla sang) sotta alla faciassa del sô...
«bim, bom, bom al rombo del canon»
... che la se sbassa, rossa come ona polla,
su quij che se morisna là... ch’àn finii la guerra e se dio voeur, sott-terra, in màser... (e carisna, e scender...) – che fameja! – dormen sotta ona preja! (... e scendera, e carisna!)
Pàssen i tramm, scampànen! Molla Tanoeu...! brisaola, scisger e tempia e a tavola! Canten e se slontànen – scolta – i compaa del Zio... L’è el dì di Mort e dio! L’è el dì di Mort e àmen!
Torno da viale Certosa, torno dai Cimiteri in mezzo ad un semenzaio di avvinazzati che vociano, di festaioli che cantano e che scherzano in santa pace a braccetto della ragazza. È il dí dei Morti, allegri! Sotto le pergole si balla, si ride e si tracanna; passano i tram neri di quelli che tornano a casa per mangiare e sbevazzare: ceci e tempia... allegri figlioli, che siamo fottuti! I nostri fantaccini a furia di intontirli, di prenderli per il culo, di mandarli a prender botte hanno gettato la divisa, scalciano a salti di culo, scappano, questi sacrati, hanno mollato, mi dicono, buttan le armi, se la svignano da tutte le parti, lo Zio ce lo ha schiaffato nel deretano lungo quattro spanne e stabile, è il giorno dei Morti e dio! Passano i tram neri gente su gente... teppa... ragazze e bancarelle da fiera!... «Oh le belle corone!» Allegri! «Oh i bei lumini!» «Oh i pizzi, le belle tende, oh i pizzi!» È il di dei Morti!... allegri!... e via, con questa accozzaglia di giovinastri che a brigatelle cantano spavaldamente: «O macchinista, | ferma il diretto | perché al distretto | me tocca andà...» – questa è buona! ascolta: «stacca la macchina | ferma il diretto | che son costretto | d’andà a soldà!»... a furia di batoste tiriamo innanzi... «Caldarroste!» ... e giú verso porta Volta e via con questa baraonda di barcollanti ubriachi... Lo vedi? non ci restano piú che i nostri quattro stracci, l’eredità è sfumata, siamo in bolletta in strada; torniamo a fare il pagliaccio! Comincia adagio... adagio... a venir sera... e là... – cantano ancora, ascolta – «... che al mio paese | voglio tornà...» giú verso Milano è quasi buio... rogge e seminati, navigli e cimiteri trasudano adagio, adagio, umido e nebbia... Ottober... cocober... poveri noi! ad una ad una ci abbacchiano le roveri! Oh Gesú, che spogliata di piante! che battuta lassú!... Ottober... cocober! ... Torinesi giolittiani, milanesi socialisti, coraggio, rallegratevi! Austriacanti di San Damiano, allargate il cuore, son qui... tornano i tedeschi... sono qui... arrivano quei cari patàni, quei cari baffoni, quei poco di buono! A zonzo, mi aggiro fra i banchi della fiera, e penso alle nostre miserie... rogne, sfortuna e generali da pipa!... e quel giorno... «Caldarroste!... Caldarroste!...»... e quel giorno vedo... (Madonna! due? tre settimane ancora?...)... che in piazza o forse lí dal Brioschi: «Hai sentito?... – mi diranno – ... hai sentito?... arrivano... ci siamo... son qui... cedono dalle parti di Brescia, arrivano...sono a Vestone! da Desenzano, Gardone scappano... caro il mio Tessa siamo fritti!...» ed io, d’un balzo, fuori!... lí davanti al Campari... c’è ressa... zeppa la Galleria... gente che si urta... due che gridano... «A calci in culo andiamo avanti!... Oramai ci hanno sfottuti!» «Non bisogna cedere!»... gente che brontola... gente che aizza sotto sotto... che ribolle e che urla. Balordi, ruffiani, teppisti, finocchioni, eccola la feccia che è sbucata dalle bettole, fuori in piazza! Fannulloni, svaniti, marmaglia fuori a festeggiare lo Zio! «Silenzio!» «Basta!... Basta!...» Sentila la teppaglia che si scatena!... «... Mio ehi Maio!... spiàccicalo! piantala, sciocco!» «Ma silenzio... per Dio!» «Zitti!» Dagli ammezzati ad una finestra leggono il Bollettino «... a destra del Brenta, incendiati i depositi, in dura lotta nella pianura, ci siamo ripiegati...» «Lo senti?... ripiegati!» «Silenzio!» «Va’ al diavolo! faccia di culo di cane da caccia!» «... coi reparti alleati...» «... buoni quelli!» «Ma tralasci i suoi commenti e lasci terminare!» «... e schierati combattendo fra Po ed Adige, sul Mincio, secondo i piani...» (Accidenti! ecco dove sono già! sul Mincio... proprio) «abbiamo...» «Che cosa ha detto? abbiamo... e poi? non si capisce!» «Ha detto – evacuato! –» «Cosa?» «Mah!» «ad occidente... abbiamo nettamente respinto...» «Evacuato piuttosto!» «... in nostre mani...» «Tutte frottole!» «... aeroplani...» «Ci vuol altro!» «... firmato Cadorna!» «Bollettone! va’ a nasconderti brutto malanno e non cacciarne piú di trottole!» «Si sente già il cannone fuori dai dazi!» «Lei, non si vergogna, Lei?» «Di che cosa? c’è il cannone, proprio c’è il cannone che si sente!» «Allarmista!» «Napoli!» «Disfattista!» «Va’ al tuo paese scocciatore!... aria!» «Lei, Lei, venga con me, Lei!» «Io, con lei? È il padrone del vapore lei? ma sentilo, vuol mettermi dentro, vuol mettermi!... ma chi è lei? chi è?» «Lascialo andare» «Napoli!» «Rinnegato!» «È uno del Comitato!» «Dàlli a quel rospo!... andiamo, andiamo... ohi!» «Lascialo andare!» «Giú! pesta giù!» «Italiani senza patria! a domani!» «Domani, sí... aspetta bue!» «Lobbia!» «va’ al tuo paese, o cristo di un milanese arioso! va’ a dire ai tuoi che hanno sbagliato fin dal primo bottone, tirano avanti la guerra per accopparci, buttarci a terra, eccola la ragione!» «Mascambroni, è ora di finirla!» «In malora ci han ridotti!...» «Rivoluzione, sú!... sú!... Rivoluzione!» «Avanti, o popolo, alla riscossa! | Bandiera rossa, bandiera rossa!»... Signore! Signore!... sfortuna, rogne, disgrazie e generali da pipa, andiamo a tocchi e bocconi!... Rivoluzione... guardate!... o Signore non abbandonate quelli che son soli... «Bandiera rossa la s’innalzerà | Bandiera rossa della libertà!» Canzone di guerra della trista guerra, sú! sú bandiera rossa del tempo di fiera! Anarchici, socialisti, sú che ci siamo... è ora! sbraitate, sgolatevi, forza! lustratevi la vista, allargatevi il cuore, ci siamo! E mentre che giorno per giorno, giù, giorno per giorno, di ora in ora, andremo giú, giú, a poco a poco tutti in un mucchio a tocchi e bocconi, alla malora, che sulla Madonnina «Bandiera rossa...» lassú,.. «... la s’innalzerà!» e che faranno scempio per le case, per le strade, per le piazze... «... hanno accoppato l’Albertini, stamattina, viva noi... l’hanno buttato a terra, pugni, calci... “l’hai voluta la guerra, porco giuda!...” giú, sassate... gli hanno tatto fare la morte del Prina!» intanto che si accoppa e si canta, ecco... comincerà per Milano la passata delle lepri... una confusione, una mescolanza, mucchi di stracci, gente atterrita, senza nulla e che in fuga «... i croati... i croati...!» vanno a sbatter le loro ossa su una strada! Contadini che hanno lasciato là... terra, vacca, maiali e si trascinano... «Madonna, non ne posso piú»... carichi come muli, coi ragazzi e la donna «O Tanino, qui... andiamo...» e soldati e soldati in colonna triste, in colonna grigia... «... taglia la corda, scappa, facciamo lega... bandiera rossa... sú!» e il cannone che brontola, il cannone che ringhia nella nebbia... Ascolta! verso Melegnano giuocano alle bocce collo Zio, arrivano questa volta e addio!... vengono su da Dresano, passano da Mediglia, Colturano, San Donato, passano l’Adda a Cassano, salta il ponte di Paderno, bruciano stabilimenti, case, gente che urla gente che si pigia... e l’inverno, la nebbia, presto... presto... aeroplani che volano, bombe che scoppiano! un inferno! presto... presto... scappiamo! È mio padre che balla per casa... «... ma cosa ti manca ancora? andiamo o restiamo?» «Senio, qua, dammi le cinghie, guardale là... non c’è piú nulla da metter dentro?» «... presto, andiamo, chiudi... dove vai, Clara!... la macchinetta dello spirito? aspetta, aspetta eccola qua, che cosa hai da metter dentro ancora? questi?...» «... non seccare, lascia stare, se devi andare alla Banca, va’, prendi tempo, va’ alla Banca piuttosto, va’ – è puranco asfissiante quell’uomo!» Là alle cassette di sicurezza ci sono tutti... si accalcano agli sportelli dal Signor Cerutti... «Firma, sú dammi questo libretto... la chiavetta... apri...» e fuori... titoli al cinque per cento, cartelle, posate d’argento, rendita al tre e mezzo... e impacchetta, lega... «... e quelli della Lina? quelli della zia Angelina? e quelli dell’Erminietta? (ho la cassetta piena della roba degli altri...) che cosa ne faccio? ci vuol altro che questa valigetta!... qua... qua... quelli della zia, tutto quanto...» e via, e via a piedi, verso Corbetta, a piedi verso Bareggio, Sedriano, verso Ticino e in strada (una bazzecola, trenta miglia!) a fianco che folla! che calca! (e la nebbia! ed il fango!) una confusione, un subbuglio nell’ombra... e si va, e si va... e la sera frattanto, la sera che esce di casa, che si avvia e col suo spegnitoio scende, per oggi, a dar requie alle tribolazioni, a coprir miserie... e la notte poi che gatton gattoni vien fuori col suo coltrone!... e va che si va... dove andiamo? a Ticino? alla malora? dove siamo?... giú di là ... (verso Milano? verso Bareggio?)... giú di là... che scurolo! Gesú-dio! ragazzi, guardate! al mio lato (dove sono?) una folla... scioperati... avvinazzati... (badate) un tramestio nell’oscurità... svégliati, sú disincàntati!... teppa, ragazze e bancarelle da fiera! Gamba di legno... lo vedi, ci siam dentro! tram neri, gente su gente, allegri! è il dí dei Morti... svégliati! Torno dalla Bullona, torno dai Cimiteri, in mezzo ad un pigío di gradassi che vagabondano, di teppisti... «La vita, – passa un carretto – la vita signori!»... che si ciondolano, che scherzano e che schiamazzano! Là dalle parti del Rondò – férmati un momento – la giú, sentila la teppaglia che se la gode! «Cadorna per le feste | ha scritto alla Regina: | – vuole veder Trieste? | gliela mando in cartolina! – | Bim, bom, bom | Al rombo del cannon!» A crocchi e a brigatelle sotto la nuvolaglia umida, pieni di vino, cantano sull’imbrunire, cantano a squarciagola... «... E m’hanno destinato | al sesto fanteria | per essere mandato | alla macelleria! ... | Bim, bom, bom, | Al rombo del cannon!» Dietro al Sempioncino eccola là la faccia del sole che si accovaccia sotto la sua trapunta di nuvole...sotto le coltri! – ragazze andiamo a nanna sotto le coperte di lana! – Lampeggia sopra le stoppie... (dalle parti della Bullona gamba di legno che scampana!)... lampeggia fra mezzo ai pioppi dello stradone di Musocco, terra terra, una stroscia di fuoco... là... che sanguina! «ma il general Cadorna | mangia, beve e dorme | bim, bom, bom | al rombo del cannon!» Canzone che arriva a brandelli e si allontana laggiú... stroscia di sangue che a poco a poco, a goccia a goccia, sui camini, sulle tegole degli stabilimenti di guerra – formicaio di sheds, di magazzini, di campate – goccia a goccia cola sangue a sfottere l’asinello cacazecchini dell’ingegnere Titola Babeo che si ingrassa, sotto quella facciona (e goccia sangue, e cola sangue) sotto quella facciona del sole... «bim bom bom al rombo del cannon»... che si abbassa, rossa come un tacchino, sopra quelli che marciscono là... che hanno finito la guerra e, se Dio vuole, sotto terra, a macero... (e fuliggine e cenere...) – che famiglia! – dormono sotto una pietra! (... e cenere e fuliggine!) Passano i tram, scampanano! Tira via Tanino...! bresàola, ceci con tempia, e a tavola! Cantano e si allontanano – ascolta – i compari dello Zio. È il dí dei Morti e addio! È il dí dei Morti e amen!
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